AGNESE PINI
Cronaca

Fondazione Cr Firenze, Salvadori: "Non mi fermo. Ho ancora tanto da fare”

L’ultimo giorno al comando per il presidente: "La città ha bisogno di fare uno sforzo in più per includere". Politica? "No, grazie"

Luigi Salvadori con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella

Luigi Salvadori con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella

Firenze, 22 ottobre 2023 – Il traguardo è proprio lì, a un passo: osservo Luigi Salvadori e penso che per tutti, i traguardi, sono una vertigine. Sette anni del resto sono tanti: tre alla guida di Confindustria, quattro sulla tolda della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze. "Oggi è l’ultimo giorno", dice lui che per l’occasione si è tolto la cravatta senza però rinunciare al completo. Colore d’ordinanza: grigio fumo. 66 anni, fiorentino di stirpe fiorentina, imprenditore, figlio e nipote di imprenditore - suo nonno fondò la Luigi Salvadori Spa nel 1907 - orgoglioso della sua città come tutti i fiorentini, e proprio in virtù di questo orgoglio, e di questo amore - "amore incondizionato", precisa - non le ha risparmiato critiche, e quando le ha fatte non ha mai usato vie troppo diplomatiche: "Altrimenti, che fiorentino sarei?".

E adesso si mette in pensione?

"Mi ci vede lei in pensione?"

Non troppo per la verità.

"Sono a disposizione della città, se la città mi vorrà".

Questa è una risposta molto diplomatica.

"Non è diplomatica, è vera. Non ho voglia di fermarmi, non è nelle mie corde, sono un uomo del fare e ho ancora tantissimo da dare, da offrire, da restituire".

Il suo nome gira con insistenza per il Centro di Firenze per la Moda Italiana, o per la Camera di Commercio .

"Lo so" (sorride).

Quindi?

"Quindi non si parla di incarichi finché non si hanno. È una questione di buon senso, ma soprattutto di rispetto: per se stessi, per gli altri e per le istituzioni in questione".

Mi pare saggio.

"Ho imparato anche la saggezza, in questi anni. E la pazienza".

Cos’altro ha imparato?

"A misurarmi con me stesso, con i miei limiti e con le mie possibilità. È un esercizio importante per crescere senza snaturarsi. Si cresce a qualunque età, e si cresce solo rispettando se stessi".

Com’è oggi Luigi Salvadori?

"Resto un entusiasta, un appassionato della vita, delle persone, del nuovo. Ma ho imparato l’arte difficile e sostanziale della condivisione e della mediazione, del mettersi a disposizione per il bene comune".

Lei parla già da politico.

"Vuole sapere se mi candido a sindaco di Firenze?".

Sì.

"La risposta è no, non mi candido".

E non le dispiace non buttarsi nella sfida elettorale?

"Non ho mai fatto politica attiva, non è questo il momento di cominciare. Ma se il nuovo sindaco avrà bisogno di me, mi troverà. Ci sono, non mi tiro indietro: si può contribuire in molti modi, l’importante è non smettere mai di fare ciascuno la propria parte".

In passato lei ha contestato ai suoi concittadini una scarsa predisposizione proprio al mettersi in gioco. In un’intervista a La Nazione disse: «Firenze si vede dallo specchietto retrovisore». Conferma?

"Firenze non ama le novità, e rende difficile la vita alle persone che vogliono perseguirle. È questa alla fine la differenza che corre tra Firenze e Milano: Milano non si chiude, Firenze sì. E allora perde le occasioni".

Per esempio?

"Firenze non ha bisogno di fare alcuno sforzo per attrarre investitori, anche internazionali: li attrae con il solo fatto di esistere, di rappresentare quello scrigno di bellezza e di opportunità che è sotto gli occhi di tutto il mondo. Ma poi non sa includere, non sa accogliere né sa fare proprie le idee altrui, così come le proposte o gli slanci di cambiamento: gli unici imprenditori stranieri che ha saputo inglobare negli ultimi anni, per dire, appartengono al settore immobiliare".

Il momento non è semplice.

"Per chi lo è? Pandemia, guerre, incertezze di ogni tipo. Siamo travolti. Ciò non toglie che non possiamo continuare a trovare alibi per coprire le nostre mancanze".

Parliamo di oggi.

"Sì, parliamo di oggi: Firenze sta vivendo un momento molto delicato. Il Maggio è in crisi, la Fiera si trova dentro una transizione piena di incertezze. Dunque possiamo dire che le istituzioni della città, i suoi stessi punti di riferimento economici e culturali sono in crisi".

Come se lo spiega?

"La cultura costa moltissimo. E allora il pubblico deve dotarsi di amministratori all’altezza, oltre che di direttori artistici all’altezza. Non è più il tempo dell’improvvisazione, non si possono più chiudere uno o due occhi, addirittura, sulle gestioni sbagliate".

La Fondazione ha messo un sacco di pezze, sia per il Maggio sia per la Pergola. Continuerà?

"Non ho dubbi, ma senza sconti. E cioè a condizione che non facciano più deficit".

Che giudizio dà a questi dieci anni di amministrazione Nardella?

"Questa è una domanda cattiva".

Dipende dalla risposta.

(Ride). "Apprezzo Dario Nardella. Gli trovo grandi qualità umane e ha dimostrato di avere ottime capacità come amministratore. Il primo mandato lo ha fatto molto bene, meglio del secondo. Credo che in questo abbiano giocato un ruolo anche i condizionamenti esterni che gli hanno fatto perdere un po’ di slancio sulla città".

E a questi suoi sette anni che giudizio dà?

"Nei tre anni trascorsi in Confindustria ho dovuto ricucire rapporti che si erano sfaldati: quando cominciai c’era molta confusione, mancavano degli obiettivi condivisi. L’esperienza in Fondazione è stata entusiasmante: mi ha dato la possibilità di entrare fino al cuore del tessuto cittadino, di conoscerlo, e di incidere. E mi riempie di orgoglio il fatto che ogni provvedimento è stato approvato all’unanimità. Di questo ringrazio tutti coloro che mi sono stati vicini e gli Organi della Fondazione. Con l’aiuto di tutti loro abbiamo creato una vera e propria squadra".

Qual è stato il momento più difficile?

"Il Covid ha cambiato tutto, ha ribaltato il tavolo, e ha costretto anche la Fondazione a modificare i suoi obiettivi. Ricordo, ad esempio, i 50 milioni prestati alla Regione Toscana, poi restituiti, per acquistare presidi sanitari salvavita nei mesi più drammatici della pandemia".

La pandemia ha cambiato anche la Fondazione?

"Come ogni altra cosa. Noi ci siamo messi a disposizione, siamo diventati collanti di una condivisione di intenti partita proprio dalle Acri (l’associazione delle Casse di risparmio e delle Fondazioni bancarie italiane, ndr), fino ad arrivare alle istituzioni locali. Non siamo mai stati supplenti di nessuno, ma abbiamo contribuito a creare una rete solidale con le amministrazioni, a Firenze come ad Arezzo e a Grosseto, che sono i nostri territori di competenza, impegnandoci in prima linea per sostenere i centri urbani, la cultura, il sociale. Grazie anche all’ottima collaborazione con Intesa Sanpaolo abbiamo sempre risposto “presente“, ogni volta che siamo stati chiamati ad intervenire".

La cosa che l’ha resa più orgoglioso.

"Il mio primo pensiero va all’ Innovation Center, nel quartiere di San Frediano, dove sono nato. È stata una grande opera di restituzione sociale e culturale per Firenze: un hub digitale che ha messo finalmente i giovani al centro di tutto, protagonisti e artefici della missione digitale. Una gran bella operazione con un partner di primo livello come Nana Bianca. Siamo riusciti anche a portare a Firenze quel modello davvero rivoluzionario di scuola per coders, i programmatori digitali, che è “42 Firenze“. Ma sono orgoglioso soprattutto di aver avviato un modello operativo prezioso per la città che non ha alcuna pretesa di surroga o di supplenza ma che desidera solo contribuire al bene comune".

Arrivati a questo punto devo chiederle se ha dei rimpianti.

"Non ne ho, anche se certamente ho fatto errori. Ma tutto quello che ho fatto, meglio o peggio, l’ho fatto sempre sorretto da una visione che puntava a guardare più avanti, più lontano, un modo di ragionare che mi porto dietro dalla mia prima vita da imprenditore. Ecco, mi sarebbe piaciuto provare a immaginare in una maniera più plastica e concreta la nostra città tra venti o trent’anni. Che Firenze stiamo lasciando ai nostri figli, ai nostri nipoti".

Che Firenze stiamo lasciando?

"Una Firenze che non riesce ancora a fidarsi davvero di se stessa, e questo è il peccato più grande".

Al suo successore vuole dire qualcosa?

"Voglio dirgli che gli ho lasciato una strada, che è la cosa più importante da lasciare quando si va via. Un percorso da seguire, illuminato bene: spero ne colga il buono, e lo porti sempre più avanti in continuità".

E da domani che farà?

"Domani ho appuntamento con una priorità che per me non viene mai meno, qualunque cosa accada".

Sarebbe?

"Fare il tifo per la mia Fiorentina".