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CASO FORTETO / Anni di processi, poi le condanne. Nel silenzio diventarono verdetti

Il ping pong giudiziario, fino all'epilogo del 1985: colpevoli IL CARDINALE: "COINVOLGERE DON MILANI E' UNA VERGOGNA" / TRENT'ANNI DI MISTERI E ABUSI: SPECIALE / FOTOGALLERY: FIESOLI DOPO LA SENTENZA /GUARDA IL VIDEO DELLE IENE / DOCUMENTI: LA RELAZIONE FINALE DELLA COMMISSIONE D'INCHIESTA / IL CERCHIO MAGICO DELLA SINISTRA

Processo Forteto, l'avvocato Sara Angelucci, difensore di Fiesoli, nel giorno della sentenza

Firenze, 25 giugno 2015 - Una condanna. Un’assoluzione in Appello. La Cassazione che rinvia al secondo grado, che riforma la sentenza e condanna di nuovo. In via definitiva. Sette anni: tanto durò il ping pong giudiziario della prima inchiesta su Rodolfo Fiesoli, sul suo braccio destro Luigi Goffredi e sulla, allora giovane, cooperativa del Forteto. Dal 1978 al 1985, in un clima quasi mai ostile verso il «sogno» comunitario e cooperativo che animava quei “ragazzi”. Certo, gli ideali e la missione erano lusinghieri. Peccato che che quei minorati psichici a cui il Forteto dava accoglienza in cambio di lustro e riconoscenza delle istituzioni, furono le prime vittime di Fiesoli e Goffredi.

Novembre 1978: vengono spiccati gli arresti per il capo e l’ideologo della comunità mugellana che a quei tempi era stanziata a Bovecchio, nel comune di Barberino. Restano in carcere tre mesi, alle Murate, poi cessano le esigenze cautelari. Nel frattempo, la comunità fa quadrato intorno ai loro capi, ma contemporaneamente apre le sue porte all’esterno: qualche cronista si arrampica in Mugello, per testimoniare la realtà di vita e di lavoro. Si arriva comunque al processo, con una dozzina di capi d’imputazione che vanno dagli atti di libidine violenta (anche ai danni di un veterinario esterno al Forteto), ai maltrattamenti, alla violenza privata, alla corruzione di minorenne, all’usurpazione di titolo (Fiesoli e Goffredi all’inizio della loro ’carriera’ si spacciavano per medici o psicologi), agli atti osceni in luogo pubblico.

Il sei ottobre del 1981 Fiesoli viene condannato a tre anni di reclusione, Goffredi a un anno e nove mesi. Entrambi ad una multa di 50 mila lire. A una parte civile anche 2 milioni di risarcimento. Ma appena qualche mese dopo, il 19 maggio del 1982, arriva il ribaltone in secondo grado: insufficienza di prove per gran parte dei capi d’imputazione, il fatto non sussiste per la sottrazione di un minore, e pure un’amnistia. Un colpo di spugna sul primo processo che viene salutato soprattutto a sinistra come la prova che era tutta una montatura dei cattolici, come il pm Carlo Casini, contro quella comunità così rivoluzionaria. Ma il processo va avanti, anche se l’opinione pubblica sembra sazia del verdetto della Corte d’Appello. La Cassazione invece (il 15 febbraio del 1984) annulla «per difetto di motivazione» l’assoluzione di due anni prima.

Si fa un nuovo processo, nel silenzio di una Firenze terrorizzata dai delitti del mostro di Firenze (il 29 luglio del 1984 vengono uccisi Pia Rontini e Claudio Stefanacci alla Boschetta di Vicchio, a un tiro di schioppo dalle terre del Forteto). I giudici Luciano Tossani, Vincenzo Palermo e Francesco Ferri, il 12 gennaio del 1985, scrivono la sentenza che, cinque mesi dopo, nonostante i ricorsi, diventerà definitiva: due anni a Fiesoli, dieci mesi a Goffredi. Ma gli affidi di minori erano continuati e continueranno.

Stefano Brogioni