
Elisabetta Rasy
In una Napoli mitica e incantevole, ecco le figure di due padri: uno biologico, “murato nella sua solitudine“, l’altro elettivo, un maestro di letteratura, ossia Raffaele La Capria (1902-1922). Elisabetta Rasy nel suo nuovo romanzo “Perduto è questo mare“ (Rizzoli) – che sarà presentato dall’autrice domani alle 17, in dialogo con Margherita Ghilardi, nella Sala Ferri di Palazzo Strozzi, nell’ambito degli incontri organizzati dal Gabinetto Vieusseux – compie un viaggio letterario e affettivo, a partire dalla Napoli degli anni Cinquanta. La precoce rottura del legame col padre è riletta dalla scrittrice alla luce dell’amicizia con La Capria, raffinato autore di romanzi e saggi “napoletani“ come “Ferito a morte“ (Bompiani, Premio Strega 1961) e “L’armonia perduta“ (Mondadori, Premio Napoli 1986). Il padre biologico di Rasy e lo scrittore, appartenenti alla stessa generazione, hanno avuto esistenze assai diverse fra loro, ma entrambi sono stati attratti dal fascino e dalle contraddizioni della napoletanità.
Il “mare perduto“ evocato nel titolo è proprio la città di Napoli, che Rasy abbandonò da ragazzina e La Capria da giovane uomo. Il distacco dalla città e dai suoi miti è stato il cemento del rapporto fra la scrittrice e il suo “maestro“ ed è in questa chiave che Rasy, alla morte dell’amico scrittore, ha deciso di esplorare il suo passato, mettendo a fuoco la figura del padre, “perduto“ da ragazzina, un uomo ombroso, solitario, che mai abbandonò la città natale.
Non c’è, nel romanzo, un confronto diretto fra i due uomini, non sono – avverte l’autrice – uno l’ombra e l’altro la luce, perché i chiaroscuri sono propri di entrambi, uomini tutti e due animati da imperscrutabili, intimi segreti.
C’è nel romanzo, semmai, l’esplorazione di rapporti diversi: uno familiare, filiale, l’altro elettivo, di amicizia, ed è su questo binario che scorrono le pagine di “Perduto è questo mare“.
"La Napoli della quale parlo – ha detto Elisabetta Rasy in un’intervista – è una città dalla quale tutti se ne andavano, tagliata fuori dalla modernità, dall’economia dinamica del dopoguerra".