BARBARA BERTI
Cronaca

Gabriele Salvatores, il modesto: "Io maestro? Sì, ma di bottega"

Il regista premio Oscar 73enne domani riceverà il prestigioso Premio Fiesole ai Maestri del Cinema 2024

Gabriele Salvatores, il modesto: "Io maestro? Sì, ma di bottega"

Gabriele Salvatores, il modesto: "Io maestro? Sì, ma di bottega"

"Maestro io? No, i maestri del cinema sono altri. Io mi sento più un maestro di bottega perché sono cresciuto in quella che era una bottega ma anche una casa, il Teatro dell’Elfo a Milano. Lì ho imparato tanto e ho insegnato a chi era più giovane di me".

A parlare con modestia è il regista premio Oscar Gabriele Salvatores, 73 anni, che domani (dalle 20,45) al Teatro Romano di Fiesole riceverà il Premio Fiesole ai Maestri del Cinema edizione 2024, prestigioso riconoscimento conferito dal Comune di Fiesole in collaborazione con il Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani Gruppo Toscano e la Fondazione Sistema Toscana, per la direzione artistica di Simone Emiliani.

Non possiamo non iniziare dalla Toscana dove lei vive da anni e dal suo legame con Firenze...

"Mia madre è nata a Firenze, la mia prima fidanzatina era fiorentina, il Teatro dell’Elfo ha avuto rapporti stretti con il Teatro della Toscana. A Fiesole sono stato già nel 1994 per consegnare il premio a Wim Wenders e da anni Lucca è casa mia. Adoro questi posti, c’è aria buona, arrivando da Milano si sente la differenza. Napoli è la mia città d’origine ma qui ritrovo quella stessa gioia di vivere, l’idea che un pranzo sia molto di più del semplice nutrirsi. Alla fine Napoli e Firenze sono due città che hanno formato la cultura del nostro Paese".

A Fiesole arriverà con Fabrizio Bentivoglio, con cui spesso lavora. Qual è il suo rapporto con lui? E come sta la scuola degli attori italiani oggi?

"Il primo film insieme è stato Marrakech Express del 1989, prima non lo conoscevo. Poi è diventato un compagno di viaggio: in lui riesco a identificarmi, è un po’ il mio alter ego. La classe attoriale odierna, soprattutto le nuove generazioni, è di qualità. Ci sono tanti attori bravi, attenti al lavoro, appassionati. Negli anni Novanta questo si era un po’ perso perché con il boom delle tv private si era abbassato il gusto e si pensava che bastava avere un bel facciano per fare l’attore. Ma non è così. Oggi il nostro cinema non ha niente da invidiare a Hollywood. Forse bisogna lavorare di più sulle scenografie e sul concetto di produzione".

Il cinema registra una tendenza a ritornare sulla storia del ’900, sul periodo della Seconda Guerra Mondiale: perché?

"Effettivamente anche il mio Napoli-New York, tratto da una sceneggiatura inedita di Federico Fellini, in uscita dopo l’estate, è ambientato nel 1949 e senza ideologie racconta che i migranti prima eravamo noi. Credo che ripercorrere i fatti per cui siamo arrivati fin qui sia importante e anche utile in tempi dove Internet rischia di cancellare la memoria con notizie false o distorte. In questo periodo c’è bisogno di ritrovare le nostre radici. E poi raccontate l’oggi è molto molto difficile".

Altra tendenza delle sale ma anche dei colossi streaming sono i biopic: perché siamo attratti dalle storie dei grandi uomini? Lei su chi lo girerebbe?

"Me lo hanno chiesto ma non l’ho mai fatto. Non è il mio genere anche perché raccontare le imprese di grandi uomini o donne è rischioso: se il protagonista è un eroe, la casalinga con tre figli chi è? No, preferisco raccontare le storie di tutti noi, anche attraverso la forma del documentario, come Italy in a Day - Un giorno da italiani o il più recente Fuori era primavera".