Firenze, 26 maggio 2023 – "Perché intitolare l’operazione a Nadia? Perché lei e la sorellina Caterina sono vittime innocenti della mafia, non ce ne dobbiamo mai dimenticare. Lo sono come i loro genitori, come lo studente Dario Capolicchio, come i morti di Milano. Questo ricordo ha accompagnato tutti i carabinieri che per trent’anni hanno dato la caccia a Matteo Messina Denaro. Le bambine sono state un monito e un incoraggiamento ad andare avanti, anche quando le piste investigative arrivavano a un punto morto, nonostante avessimo fatto il vuoto attorno al boss e arrestato duecento persone, cercando lui. Fino al 16 gennaio…".
Il colonnello Lucio Arcidiacono non è solo il comandante del primo reparto investigativo del Ros che ha materialmente arrestato l’ultimo boss stragista. E’ un uomo che conserva memoria di un’epoca di strazio e paura, quella delle stragi. Oggi e domani è a Firenze per le commemorazioni. Un impegno "personale e istituzionale" per "portare la mia vicinanza e quella di tutti i carabinieri" anche alla famiglia Nencioni. "I morti vanno via, i vivi continuano a soffrire".
Cosa ha significato l’arresto?
"Oltre ad una rilevanza strategica dal punto di vista investigativo ha un altissimo valore simbolico. E’ il saldo del debito che lo Stato ha nei confronti delle vittime e un monito per tutti i mafiosi. Lo Stato non dimentica".
E per Firenze?
"Era lui l’ultimo condannato per i Georgofili ancora libero".
Torniamo a quella mattina. Cosa ha provato?
"Descriverlo è impossibile. L’adrenalina era altissima e dovevamo restare concentrati perché c’erano da portare a termine attività delicatissime: mettere in sicurezza l’area, il mafioso e il suo complice. Quel momento è stato unico".
Ci sono voluti trent’anni…
"Sono tanti... Quel giorno siamo arrivati alla clinica ma era l’unico posto che conoscevamo, non sapevamo dove era nascosto, chi lo avrebbe portato e nemmeno il suo aspetto".
Eppure ha subito capito che era lui. Perché?
"Per la somiglianza con sua sorella Rosalia, poi arrestata. La controllavamo, la ascoltavamo e la vedevamo ogni giorno. Quando ci siamo trovati davanti Messina Denaro abbiamo capito. ‘E’ lui’. Chiedergli chi fosse è stato un atto dovuto al protocollo di intervento. Dopo un tentennamento ha confessato".
Se lo aspettava?
"No, era convinto che qualcuno lo avesse tradito, me lo ha anche chiesto. Gli ho risposto: “Aspetti, in carcere avrà tutto il tempo di leggere e scoprire come è andata”".
Arrestato a Palermo, in clinica da latitante. L’Italia si è stupita per tanta sfrontatezza. Anche lei?
"Non mi ha stupito affatto alla luce di quello che abbiamo scoperto sulle sue condizioni di salute: per poter sopravvivere e continuare a esercitare il suo potere mafioso doveva stare lì".
Somiglia tanto alla sorella?
"Sì. Le ultime foto di Messina Denaro risalgono al 1992, scattate in occasione di eventi conviviali. Il resto sono ricostruzioni grafiche. Il 6 dicembre eravamo entrati nell’abitazione di Rosalia. E da allora la vedevamo ogni giorno e monitoravamo i silenzi, gli sguardi, i rumori. Quando si cerca un latitante contano più delle parole".
L’operazione è stata dedicata a un maresciallo ma intitolata alla piccola Nadia. Il boss ne ha tanti sulla coscienza…
"Messina Denaro se ne vantata: ’Ho fatto tanti morti che ci si potrebbe riempire un cimitero’. Abbiamo dedicato l’arresto a Filippo Salvi, morto il 12 luglio 2007 durante le indagini per la ricerca del boss. Il 30 marzo è stato insignito della medaglia d’oro al valore dell’Arma dei Carabinieri ma l’operazione si chiama ‘Tramonto’, come la poesia di Nadia. Sono storie che colpiscono nell’intimo e non possono essere dimenticate".
Il quadretto con la poesia è negli uffici del Ros e quando è stato arrestato Messina Denaro ci è dovuto passare davanti. Chi ce lo ha messo?
"Quando sono arrivato a Palermo nel 2015 era lì. Si è perso nel tempo chi ce l’abbia messo".
Nadia, Caterina sono le ‘vittime che non ci appartengono’ di cui parlò il pentito Spatuzza?
"Non entro nel merito delle parole di Spatuzza, ma quelle vittime appartengono eccome a cosa nostra".
Quella stagione drammatica fece temere per la democrazia. Ora la mafia è meno aggressiva all’apparenza ma è anche meno pericolosa?
"Io non credo che cosa nostra sia oggi meno pericolosa, io credo che cosa nostra sia tornata indietro nel tempo e continui ad operare in silenzio e sottotraccia avvalendosi anche della cosiddetta borghesia mafiosa. Ha chiuso la parentesi corleonese che si è rilevata perdente".
Rischi di sottovalutarla?
"Si corre sempre questo rischio perché non ci sono omicidi o eventi eclatanti. Ma quando la mafia è silente vuol dire che sta facendo affari e ha trovato un equilibrio non solo interno, anche esterno".
Al Ros non si arriva per caso, perché ha scelto l’Arma?
"La mia scelta l’ho maturata nel ’92 e ’93, negli anni delle stragi. Da siciliano avvertivo di voler fare qualcosa di concreto: ho sempre ritenuto inaccettabile l’esistenza di cosa nostra e mi reputo fortunato perché ho quasi sempre prestato servizio al Ros, un reparto che ha raccolto il lascito del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa".