di Stefano Brogioni
FIRENZE
Un verdetto definitivo per la morte del tassista Gino Ghirelli. E per i due imputati, Nicola Fossatocci e Ajamy Houman Abbasalizadeh, in virtù di una condanna a 4 anni e 8 mesi ciascuno per omicidio preterintenzionale, si spalancano le porte del carcere. La parola fine su una vicenda dolorosa l’ha posta ieri la Cassazione, con il rigetto del ricorso che il legale dei due clienti di “Parigi 36“, Vittorio Sgromo, aveva presentato contro la condanna della corte d’appello del febbraio scorso. Una pena che i giudici avevano aumentato (dai tre anni e un mese del primo grado) perché non era stata concessa l’attenuante della provocazione addebitata alla vittima.
I fatti risalgono al luglio del 2017. Ghirelli aveva preso a bordo i due giovani, all’epoca ventenni, per accompagnarli alla loro auto parcheggiata sui viali. In piazza Beccaria, i clienti dissero che non avevano soldi per pagare la corsa. Durante una sosta al bancomat la situazione degenerò. Ci fu una violenta colluttazione. Ghirelli avvertì la sua centrale di quanto accaduto, raggiunse casa e nella notte precipitò in uno stato di coma da cui non si è più risvegliato. Morirà nel dicembre del 2019,a 69 anni. La figlia Silvia ha condotto una complicata battaglia giudiziaria: il primo processo - per lesioni gravissime, celebrato mentre ancora il tassista si trovava in coma - si concluse con l’assoluzione degli imputati e una “condanna“ dell’atteggiamento di Ghirelli che, secondo una ricostruzione oggi accantonata, avrebbe iniziato per primo. "Non riesco a frenare le lacrime per il sollievo, dopo sei anni di amarezza! Mio babbo non me lo rendono ma almeno è stata fatta giustizia! Ringrazio l’avvocato Paciucci che è stato al nostro fianco, gli amici che ci sono stati vicino, i colleghi della Cotafi", dice Silvia.