Firenze, 3 dicembre 2019 - La “Giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità”, stabilita fin dal 1981 dall’assemblea generale dell’ONU per il 3 dicembre – ci invita ad un convinto cambiamento di mentalità nella generale visione della disabilità.
Il nostro paese è cresciuto culturalmente e civilmente su questo fronte, ma ancora c’è tanta strada da fare.Questa infatti è una realtà spesso associata – a torto – unicamente a limiti e ostacoli, senza comprendere che “la disabilità spesso sta negli occhi di chi guarda” (Alex Zanardi) e che i limiti più grossi sono costituiti dalla mancanza della possibilità di costruire relazioni e di godere a pieno dei diritti fondamentali sanciti dalla nostra Costituzione.
Nel passato le persone con disabilità soffrivano di una relativa “invisibilità”. Oggi si assiste a un lento cambio di prospettiva, a un approccio alla stessa basato sui diritti umani, che tenga conto delle differenze.
Ancora però la persona disabile spesso viene considerata un impedimento per gli altri. A lei si riservano parcheggi. Per lei il bus deve rallentare e lasciare spazio alla carrozzina, per lei importanti palazzi vengono “rovinati” con rampe e montascale. Molti si chiedono perché debba ottenere tanti “privilegi” dato che è un cittadino che di frequente non contribuisce col lavoro alla crescita della società e magari è assistito dallo Stato.
Di rado si riflette sul fatto che la persona disabile ha i medesimi diritti delle persone abili.
Se invece si parlasse della vulnerabilità non come un’anomalia del singolo, ma una condizione che nel corso della vita può essere comune a tutti, non come una colpa personale, ma come una condizione che la società deve proteggere e rispettare, come un motivo di organizzazione sociale, allora potremmo abbattere non solo le barriere fisiche ma anche quelle mentali che tuttora esistono dentro di noi.
D’altra parte un paese che non considera i suoi membri vulnerabili come un’eccezione ed è capace di assicurare loro gli stessi diritti di ogni altro cittadino in ogni ambito di vita, sarà in grado di garantirli a tutti gli altri.
Per la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità ratificata dall’Italia nel 2009 non si è più “disabili” perché non si cammina, non si vede, non si sente, non si capisce, ma lo si diventa quando si incontrano barriere comportamentali e ambientali che impediscono la piena partecipazione alla vita sociale su base di uguaglianza.
Si tratta di una vera rivoluzione culturale che purtroppo però ancor’oggi stenta a farsi strada.
Siamo sensibili al singolo caso, che produce vicinanza, ma non sappiamo tradurre poi questo in un atteggiamento generale consapevole, di conoscenza, attenzione e comprensione della disabilità: spesso le barriere le creiamo noi.