Giovane condannato per stupro. Deve andare in carcere ma la giudice invia alla Consulta

La pena di primo grado per il 22enne è di quattro anni, il suo avvocato chiede i domiciliari che non sono previsti per reati così gravi, ma per il giudice la norma Cartabia è incostituzionale.

Giovane condannato per stupro. Deve andare in carcere ma la giudice invia alla Consulta

La pena di primo grado per il 22enne è di quattro anni, il suo avvocato chiede i domiciliari che non sono previsti per reati così gravi, ma per il giudice la norma Cartabia è incostituzionale.

di Pietro Mecarozzi

Ha abusato di lei minacciandola con un cacciavite appuntito, dopo averla conosciuta fuori da una nota discoteca di Firenze. Entrambi avevano bevuto troppo e così scelgono di appartarsi dietro un’impalcatura di un cantiere nelle vie del centro: la ragazza (fiorentina e all’epoca dei fatti 17enne) rifiuta le avance del giovane (19enne albanese), che non accettando un no come risposta le punta sul collo l’utensile affilato e la stupra.

Una notte da incubo, che la minorenne riuscirà a raccontare solo due settimane dopo a un’amica. Scatta la denuncia ai carabinieri della stazione di Rifredi: è l’estate del 2022, le indagini si trasformano in un processo e il processo in una sentenza di primo grado. Con l’accusa di violenza sessuale, e le aggravanti di aver commesso il fatto con l’uso delle armi e nei confronti di una minorenne per di più sotto gli effetti dell’alcol, il giovane – difeso allora dall’avvocato Stefano Camerini – viene condannato con rito abbreviato a quattro anni di reclusione.

Nel corso dell’udienza preliminare davanti al gup Angela Fantechi, tenutasi a fine aprile, il legale chiede l’applicazione di una pena sostitutiva al carcere. Il reato è ostativo, cioè è tra quei crimini che, per la loro gravità, non è prevista un’alternativa alla detenzione. La giudice Fantechi, però, considera la richiesta di un "programma di trattamento" diverso dal finire dietro le sbarre più idoneo e solleva la questione di illegittimità costituzionale (l’ordinanza è stata pubblicata pochi giorni fa in Gazzetta Ufficiale) sull’articolo 59 introdotto dalla riforma Cartabia, in quanto prevede "che la pena detentiva non possa essere sostituita nei confronti di imputati infraventunenni accusati di violenza sessuale" anche quando "il giudice ritenga che il rischio di recidiva possa essere salvaguardato" con l’applicazione, in questo caso, dei domiciliari.

Perché questa decisione? Nell’ordinanza Fantechi spiega che il ragazzo – adesso assistito dall’avvocato Federico D’Avirro – oltre che giovanissimo, non ha precedenti penali ed è ben integrato nel tessuto sociale.

Arrivato in Italia come minore non accompagnato, "ha imparato la lingua italiana" e dopo un percorso formativo è stato assunto come apprendista elettricista e ha una dimora fissa.

In più, durante il processo ha tenuto un "comportamento corretto", scrive la giudice, e i fatti per cui è stato condannato non sono "avvenuti in contesti di criminalità organizzata, ma in contesto di dinamiche che caratterizzano i reati sessuali commessi da giovanissimi".

Insomma, l’esecuzione della pena ai domiciliari "consentirebbe all’imputato di proseguire nella sua attività lavorativa e di seguire un percorso che gli consenta di rivalutare in senso critico le modalità di relazione sessuale". Mentre il regime penitenziario "comporterebbe effetti desocializzanti gravi". Il caso nei prossimi giorni sarà discusso in Consulta, e, qualunque sia la decisione finale, è sicuramente destinato a far discutere.