
FIRENZE
Doveva essere la prima udienza del processo d’appello, ieri, per la morte del 29enne Duccio Dini, vittima innocente di una faida familiare fra famiglie del campo nomadi del Poderaccio.
Ma un piccolo colpo di scena ha fatto slittare di due settimane l’inizio del nuovo e atteso giudizio.
Il presidente della corte d’assise d’appello, Alessandro Nencini, si è infatti dichiarato incompatibile con questo processo in quanto la moglie, a sua volta magistrato - al tribunale del Riesame -, si è recentemente occupata di un’istanza riguardante uno dei sette imputati.
Questione di lana caprina, ma che se sollevata più avanti, avrebbe potuto portare a inceppamenti e ritardi.
Dunque appuntamento alla prossima udienza - quella del 24 marzo - con un nuovo presidente della corte d’assise d’appello a fianco del giudice Matteo Zanobini e dei popolari.
All’appello per l’omicidio del 29enne fiorentino, travolto mentre si trovava al semaforo di via Canova, fermo, in sella al suo scooter diretto al suo lavoro in centro, si arriva dopo la condanna a 25 anni di cinque componenti del ’commando’ che la mattina del 10 giugno del 2018, in via Canova, si inseguirono a velocità folle: secondo la procura prendendosi il rischio, il cosiddetto "dolo eventuale", di dare una lezione al rivale costi quel che costi.
Ma la procura, con il pubblico ministero Giacomo Pestelli, ha anche impugnato le assoluzioni di due dei sette componenti della spedizione, rimasti fuori dalla prima condanna perché, nella corsa su via Canova, forarono una gomma del loro furgone e rimasero quindi indietro. Per l’accusa, hanno le stesse resposanbilità degli altri ’concorrenti’.
Discorso opposto per i difensori degli imputati.
Ognuno dei condannati in primo grado ha infatti fatto ricorso contro la sentenza di condanna e spera che il fatto venga rivalutato, ovviamente al ribasso, dai giudici della corte d’appello.
In sintesi, le difese mirano a far cadere l’accusa di omicidio volontario (che fa schizzare in alto anche le pene) e di riqualificare ciò che avvenne in via Canova in un omicidio stradale.
E dunque scagionare anche chi, quel giorno, non aveva il compito di guidare.
I sette rom devono rispondere della morte di Duccio, ma anche del tentato omicidio del ’rivale’ che stavano inseguendo.
Nella carambola di cui rimase vittima Duccio, poi, restarono coinvolti, fortunatamente con lesioni non gravissime, altri automobilisti.
ste.bro.