di Olga Mugnaini
"Una pittura che racconta la profondità interiore, che rende visibile l’invisibile ".
In un perfetto equilibrio di parole, immagini e musica, il teatro si riempe del ricordo degli ultimi due mesi e mezzo di vita di Vincent Van Gogh, trascorsi a Auvers-sur-Oise, piccola cittadina dell’Île-de-France, dove morirà il 29 luglio 1890, ma dove l’artista non cercava la consolazione della fine, ma nuovi orizzonti artistici.
Lo storico dell’arte e scrittore veneto Marco Goldin prende per mano lo spettatore e dopo aver sfogliato il suo libro “Gli ultimi giorni di Van Gogh. Il diario ritrovato“, ne restituisce uno spettacolo che porta lo stesso titolo, coinvolgente ed emozionante, che di città in città continua a fare il tutto esaurito, come stasera al Tuscany Hall.
Professor Goldin, che cosa porta in scena della grande avventura artistica e umana di Van Gogh?
"Nella versione teatrale, così come nel libro, immagino un diario degli ultimi due mesi e mezzo di vita di Van Gogh, durante il suo soggiorno ad Auvers. In quel periodo i sui scritti e le sue lettere per la verità si diradano, ed è un vuoto che ho cercato di colmare, partendo da fatti realmente accaduti, seguendo soprattutto i movimenti della sua anima".
Che cosa succede in quel periodo ad Auvers?
"All’inizio è un Van Gogh contento, perché dopo aver esaurito al sua esperienza provenzale che è durata due anni, in questo angolo di Francia del Nord tenta di recuperare il tempo della sua infanzia e cerca una nuova spinta pittorica e nuova energia".
E poi?
"A luglio, l’ultimo mese prima della morte, tornano le grandi inquietudini, le malinconie, e sorgono nuove incomprensioni col fratello Theo".
Quali sono i dipinti più significativi di questo periodo?
"Certamente ci sono Campo di grano con volo di corvi, La chiesa di Auvers e Ritratto del dottor Gachet".
Corvi neri su un campo di grano dorato come un presagio di morte?
"No, io non ho mai creduto a questa interpretazione. Anche perché non è l’ultimo quadro della sua vita, ne farà almeno un’altra ventina. Penso invece che stesse lavorando al recupero dell’esempio dei grandi pittori olandesi del Seicento, che avevano abbassato la linea dell’orizzonte. E il cielo non era più un luogo vuoto, ma abitato. Infatti nel suo campo di grano non c’è un sentimento funerario, anche cromaticamente è molto elegante".
Come si costruisce uno spettacolo “artistico“?
"Lavorando sull’equilibrio fra testo, musica e immagini. E poi cercando di offrire al pubblico un linguaggio chiaro e comprensibile".
Perché ha scelto musiche di Franco Battiato.
"Perché contribuiscono a creare un legame ancora più poetico per l’intero spettacolo. Sono felice che il pubblico fino ad ora abbia apprezzato tanto “Gli ultimi giorni di Van Gogh“, tanto da avere ancora tante repliche in programma per tutta Italia. Di sicuro tornerò anche in Toscana".
Ma in estrema sintesi, lei che lo ha studiato tanto, chi era Vincent Van Gogh?
"Un artista che è riuscito a trasferire nella pittura l’impatto della vita, a gettare lo sguardo nella profondità interiore. Un fatto così epocale che infatti lo sentiamo ancora oggi. E’ un artista che riesce a rappresentare non solo quello che vediamo, ma anche quello che sentiamo, il visibile e l’invisibile".