Fervo di questi giorni in Francia una simpatica ondata di ammirazione intorno all’opera di un grande scrittore americano, grande come seppero esserlo parecchi uomini dell’ottocento europeo, e pochissimi di quello d’oltre oceano, come, per intenderci, uno Stendhal, un Flaubert, un Hardy, un Tolstoj, un Dostoievskij. Il suo nome era venuto fino a noi già a suo tempo, ma, tranne qualche omaggio isolato, la sua opera, anche per difficoltà materiali era rimasta in genere sconosciuta e non aveva trovato la larghezza di risonanze che merita. Roderick Hudson e Un americano a Parigi furono allora tradotti e pubblicati presso Hachette. Tuttavia solo adesso vedono la luce in Francia cose ben più importanti, come Nella gabbia, La torre d’Ecrou, La sorte di Poynton, La bestia nella jungla, e il famoso Ritratto d’una signora, men-tre un critico non indegno, Edmond Ja loux, sferza l’interesse del gran pubblico con la chiave delle sue prefazioni e dei suoi articoli di giornale. L’ondata in- tanto si allunga sulle nostre spiagge e i fratelli Treyes si fanno anch’essi benemeriti della gloria di Henry James pubblicando con altre novelle un delizio- so romanzetto, Daisy Miller, che può esser preso come il minimo comune de nominatore dell’intensità narrativa e psicologica di tutto il mondo romanzesco del caro scrittore.
E’ un mondo invero molto aperto, quasi sconfinato, i cui personaggi e le cui vicende potrebbero singolarmente far genere aa sè, ora nel fantastico e nel terri- bile, come quelli di Poe, ora nel facile. Intrigo mondano o nell’episodio di educazione sentimentale come in tanta letteratura francese, se, insieme, fondamento psicologico e tendenza morale non stabilissero un livello interiore cho risale da una comune profondità al cuore di ogni personaggio.
Daisy Miller, che contiene in nuce tutti gli elementi costitutivi dell’arte di James, serve meglio degli altri romanzi e racconti ora tradotti in francese, per la sua chiarezza di superficie, a individuare questo livello; e, d’altra parte, quanto potrebbe dirlo l’intero complesso dell’opera, dà il ritratto spirituale dello scrittore con le sue simpatie e le sue ironie, il suo gusto, la sua buona educazione, il suo buon senso della vita. Non per nulla egli era fratello del filosofo pragmatista William.
Nato a New York nel 1843, ma vissuto e morto in Europa, assume in sè e nei propri personaggi i caratteri peculiari di americano dell’ Ottocento, con un significato di signorilità e raffinatezza. Il mito stendhaliano del viaggiatore si ripete con lui senza perdere di nobiltà a distanza appena di cinquantanni e, se non è più personificato dal galante francese, trova nel gra: signore d’oltre oceano, (eroe dei roman zi ameicani), un tipo molto più adatto a brillare nell’atmosfera dell’Europa fin de siècle.
Certo un "yankee", un Tom Sa- wyer qualunque, avrebbe fatto ridere di disprezzo tutta l’Europa, ma l’americano di James, di razza quasi principesca, usa la sua parte d’eroe con delicata squisi- tezza pressapoco come James usava la sua parte di scrittore.
Formatasi da innato globetrotter un’intelligenza squisitamente europea, egli sa stabilire rispetto all’arte tali condizioni di modernità, di raffinatezza e di spirito che, se nella letteratura in genere anglosassone dovevano portarlo a maggiore modernità che un Thomas Hardy o un John Galsworthy, gli davano intanto un posto, in quella specificatamen- to Americana che fu decisivo contro la mania del primitivismo e persuasivo per quanti tra Boston e il Mississippi non riconoscevano ancora la necessità di accettare una cultura, una lingua, una tradizione e una civiltà, letteraria dall’Europa.
Singolarissimo strapaesanismo questo che James sconfessava, forse senza volerlo, con un sorriso semplicemente raffinato. L’America aveva ben conosciuto un’età d’oro di cui Hanning, Emerson, Thoreau, Longfellow, Roc, essenziali protagonisti, dimostravano appunto l’ euro peità della derivazione, direi della maturazione, tanto da rendersi essi stessi riferibili ad altri protagonisti dell’Ottocento inglese o del Settecento francese.