Firenze, 15 gennaio 2019 - Si intitola “Serrature” ed è il nuovo spettacolo che vedrà tornare sul palco del Teatro di Rifredi l'attore Alessandro Riccio. Un'analisi introspettiva dei meccanismi che regolano le emozioni e le azioni del protagonista, Giulio Spadon, le cui certezze – le sue e quelle dei personaggi che orbitano intorno a lui - vengono messe in discussione. E si rende necessario trovare nuove “chiavi” per aprire le serrature di sempre. Un ritorno, dicevamo, quello di Alessandro Riccio nella sala fiorentina dove, poco più di due mesi fa aveva riportato in scena, con uno straordinario successo che gli aveva imposto un numero record di repliche, uno dei suoi personaggi più amati, la Bruna, protagonista dell'omonimo “Bruna è la notte”. Un successo che, per Alessandro Riccio, va avanti da 25 anni, riassunti in un video celebrativo dove è quasi impossibile, infatti non lo ha fatto neppure lui, contare le decine e decine di personaggi che ha prima creato sulla carta, analizzandone vizi e virtù, e poi caratterizzato, incarnandone alla perfezione le peculiarità psicologiche e fisiche. Di queste “nozze d'argento”, il 2018 è stato indubbiamente un anno da ricordare, nel percorso artistico dell'attore. E' proprio lui a spiegare perché. “Nel 2018 – dice – c'è stato una sorta di salto di livello di credibilità nel pubblico. Non voglio dire artistico perché le cose fatte in passato non sono certamente meno meritevoli, ma nell'anno che si è da poco concluso il pubblico ha capito che dietro quella maschera scherzosa, Alessandro Riccio ha qualcosa di più da comunicare e lo fa attraverso una preparazione meticolosa e un grande lavoro di base”. Ovvero? Come sei riuscito a renderti più “credibile”? “In questi anni ho elaborato un metodo di cui vado molto fiero, e sul quale prima o poi metterò il trademark. Si tratta di una sorta di vademecum su come si crea un personaggio, una serie di passaggi e di studi che collegano fortemente la sua psicologia alla sua fisicità. Il segreto e l'esercizio quotidiano è infatti quello di imparare a uscire da te stesso: non puoi usare il tuo corpo, la tua voce, il tuo ritmo e il tuo modo di rapportarti allo spazio, perché il personaggio è diverso da te. L'osservazione del mondo e del dettaglio si rivela quindi fondamentale, perché i dettagli, che sembrano sfuggire al controllo, in scena risultano veri e quindi credibili agli spettatori. E' l'attenzione specifica al singolo spettatore a fare la differenza, il fatto di instaurare con il pubblico un rapporto di simpatia, quasi di confidenza che porto avanti anche sui social. Mi piace scherzare con le persone e sentire quello che dicono, credo che sia una forma di antidivismo che è importante, oggi più che mai. In fondo l'artista deve essere questo: qualcuno che ti permette di conoscere quel lato emotivo personale, anche attraverso i suoi personaggi”. E come nascono questi tuoi personaggi? "Nascono sempre dall'esigenza di capire qual è il meccanismo emotivo che sto vivendo io e le persone che mi circondano. Io credo davvero che in questa società ci sia troppa poca autoanalisi: ecco che il teatro diventa quindi un mezzo per conoscerci, investigare dentro noi stessi e diventare migliori. I miei personaggi parlano quindi di me e, così facendo, induco le persone a riflettere su quello che hanno “imparato”. E' questo che attira ai miei spettacoli un pubblico ampio e soprattutto eterogeneo". Quando hai capito che da grande avresti fatto l'attore? "Il tutto prende le mosse da una storia un po' dolorosa, che affonda le sue radici in un problema di attenzione. Quasi tutti gli attori sono persone che da bambini non hanno avuto molta attenzione, nel mio caso ho avuto due genitori straordinari che tuttavia, presi dai propri impegni, non mi consideravano molto. Questa assenza dei loro occhi ha fatto si che nascesse in me la voglia di reclamare attenzione. Ricordo sempre la prima volta che questo è accaduto: ero alla festa di compleanno di una mia compagna di classe, avrò avuto 8 anni e mi misi a raccontare delle storielle, che catturarono l'interesse di tutti, anche dei grandi. Credo che quello sia stato il mio primo spettacolo. In seguito le cose con i miei genitori sono notevolmente migliorate: quando ho detto loro che volevo fare questo mestiere sono stati i miei primi sostenitori, siedono sempre in platea e mia mamma è la nostra sarta". Il 2019 comincia alla grande con “Serrature” al Teatro di Rifredi. Di cosa parla? "Sono sempre stato affascinato dal funzionamento della mente, che credo abbia tante porte. Certo queste porte hanno serrature differenti – da qui il titolo – che bisogna saper aprire con le chiavi giuste e capire quando è il momento di chiudere certe porte. Quello che accade al protagonista, Giulio Spadon (è il cognome di una mia fan, Mirella, e mi è piaciuto usarlo perché è molto musicale), non è così distante da quanto ultimamente sta accadendo a me: ti accorgi che il mondo cambia, ti senti diverso, ti scopri ad avere atteggiamenti diversi. Giulio Spadon, è super risolto, super vincente e pare avere tutte le risposte ma, a un certo punto, non gli funzionano più le cose. Il problema è che da lui dipendono un sacco di altre persone alle quali crollano delle certezze. E...ne accadranno delle belle. Sono molto contento di questo spettacolo, perché a una settimana dal lancio abbiamo già due serate sold out" Dopo lo spettacolo apripista del 2019, cos'altro bolle in pentola? "Lo spettacolo che metterò in scena subito dopo si intitola “Sun Tzu l'arte della guerra” ed è tratto da una sorta di manuale che questo generale cinese, Sun Tzu appunto, vissuto 400 anni prima di Cristo, ha scritto per spiegare quali sono le tecniche di guerra. In realtà si tratta di tecniche che insegnano a vivere, che spiegano soprattutto come vivere con gli altri, come ritornare ad essere “esseri sociali”. E Sun Tzu ci insegna le regole della guerra proprio per evitarci di farla; non a caso il suo motto è “vincere senza combattere”. Quanto all'estate, oltre a riposarmi, vorrei riprendere una divertente kermesse, Baroque Festival, che ho scritto molti anni fa e dove si presentano tutte le situazioni tipiche del barocco...senza parole: la rappresentazione è infatti solo mimata" Hai un solo “grazie” a disposizione, da rivolgere a chi ritieni sia stato determinante nei tuoi primi 25 anni di carriera. A chi lo vuoi dire? “Non è immodestia ma...a me stesso. O meglio a quel ragazzino di 14 anni che aveva il coraggio di prendere il motorino d'inverno e farsi tutta la città per andare alla scuola di cinema, percorrendo un lungo tratto di strada da Sesto Fiorentino fino a via Ghibellina a Firenze. Per potermi pagare la retta ho fatto piccoli lavoretti, ho venduto tutti i miei dischi ma non ho mai mollato. Ecco, oggi voglio ringraziare la tenacia di quel ragazzino che nonostante le paure e le incertezze, ha permesso all'Alessandro che sono oggi di fare il mio lavoro e di essere felice. Se fosse possibile vorrei anche fare un salto indietro nel tempo, andare da lui, rassicurarlo e dirgli che...andrà tutto bene". Insomma, se vi piace il teatro, quello fatto bene, quello che quando torni a casa lascia spazio a dei pensieri e a delle riflessioni, allora lasciatevi trasportare dall'onda delle emozioni che Alessandro Riccio sa regalare: con un cuore da Peter Pan e una mente da fine analista dell'essere umano e delle sue molteplici sfaccettature.
Ilaria Biancalani