OLGA MUGNAINI
Cronaca

I cento anni dell’Ateneo. Guerritore incontra Firenze: "Rappresentare significa portare le ombre alla luce"

L’attrice, drammaturga e regista racconta il teatro a studenti e cittadinanza. Oggi in scena al cinema teatro La Compagnia con un focus sul femminicidio.

I cento anni dell’Ateneo. Guerritore incontra Firenze: "Rappresentare significa portare le ombre alla luce"

L’attrice, drammaturga e regista racconta il teatro a studenti e cittadinanza. Oggi in scena al cinema teatro La Compagnia con un focus sul femminicidio.

Monica Guerritore, cosa significa il titolo della sua lezione "La vita vera è nelle ombre"?

"Che c’è un mondo ‘di sotto’ che si muove, che dà segni attraverso testi e immagini. Alcuni vengono portati alla rappresentazione sul palcoscenico. Le due lezioni procedono dall’invisibile al visibile, ossia dal mondo interiore, che possiamo chiamare anima o inconscio, dove si muovono figure archetipe che vogliono essere rappresentate; per arrivare al palcoscenico. Quindi si parlerà dell’individuazione di questo luogo e dell’emersione attraverso la letteratura e la parola, che è il primo ponte, la prima metafora. La parola veste i personaggi che poi ci parlano in scena".

E come si fa a vestire le ombre?

"C’è un lavoro filosofico, umanistico e uno pratico. Attraverso varie regie e drammaturgie – mie, di Strehler o Peter Brook –, racconto le varie forme drammaturgiche e di conseguenza la messinscena, spiegando la funzione della scenografia, della luce, della musica e di tutte quelle che si chiamano le leve della fascinazione".

In quest’era dell’immagine come ci si rapporta a tutto ciò?

"Credo che ci sia bisogno di parlarne proprio in questo momento in cui l’umano è riflesso ma non rappresentato, bombardato di pixel ma cancellato nella sua ombra".

Ci spiega questa differenza?

"Abbiamo immagini riflesse ma senza profondità, spessore. Mentre rappresentare vuol dire portare alla luce quello che c’è dietro e dentro l’immagine".

Farebbe qualche esempio di ombra che ha vestito in scena?

"Tutte! Quando parliamo di Madame Bovary non ci interessa l’immagine ottocentesca con una bella pettinatura o la campagna francese. Madame Bovary è quella che quando le dicono che le nasce una bambina, femmina come lei, sviene per la fatica di essere donna. Quindi è il senso nascosto dell’immagine che va cercato e a cui va dato voce. La Fallaci, per esempio, parlava di sé in terza persona e quando le chiedevi di Oriana e di François Pelou (giornalista francese che fu uno dei suoi amori, ndr), risponde ‘non stiamo parlando di me, ma della Fallaci’. Quindi era l’immagine Fallaci, il talento Fallaci...ma l’essere umano? Quello lei lo ha sempre censurato".

Sono due esempi di cui parla?

"No, porto il teatro politico di Bertolt Brecht con L’anima buona di Sezuan nella mia messinscena che riprendeva Sthreler. Re Lear realizzato da Peter Brook; analizzerò il Giardino dei Ciliegi di Čechov come teatro della vita vera, della nostalgia e della perdita e di come Strehler l’ha messo in scena. E poi la mia Giovanna d’Arco, quale teatro della pienezza e della forza. Questi come esempi tecnici di come nasce la drammaturgia, la messa in scena e l’interpretazione dell’attrice. E per ultimo l’irrappresentabile: La Divina Commedia".

Perché l’irrappresentabile? In tanti ci hanno provato.

"Sì va beh, hanno fatto anche un musical... Ma non è rappresentabile. Perché Dante si immerge in quel mondo di sotto, di ombre, ma le racconta senza portarle alla luce, perchè è ancora tutto troppo profondo e misterioso, tanto da incontrare l’infinito e arrivare al Paradiso. È il primo momento in cui l’uomo entra in quel mondo di archetipi che erano stati toccati solo dai Greci. Il suo viaggio è il primo che dà vestiti alle ombre, come nei sogni, ma non li mette in palcoscenico. E infatti non si può rappresentare".

Nella lezione aperta al pubblico invece di cosa parlerà?

"Attraverso le figure letterarie e drammaturgiche racconto la storia di un femminicidio. E spiego l’applicazione pratica di come una messinscena può essere agita attraverso le ombre di altri testi, spettacoli e personaggi che vengono a raccontarci i sentimenti. Perché le ombre non sono altro che sentimenti primari. Gli dei erano tutti antropomorfizzazioni di pulsioni primarie: la guerra, la vendetta, il sesso, la paura. Il teatro è questo: parla a un altro te, a cui la società dell’immagine non parla più. E quindi noi siamo soli. Solo a teatro la gente si sente raccontata e rappresentata. E infatti i teatri sono pieni. È una lingua misteriosa quella che arriva dal palcoscenico".