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Studentesse americane impegnate in una iniziativa per il decoro della città
C’è fibrillazione nelle principali università statunitensi di Firenze. E gli studenti, insieme ai loro docenti, non fanno nulla per nascondere la loro apprensione rispetto alla notizia che il Consolato Generale Usa del capoluogo potrebbe, nei prossimi mesi, chiudere insieme ad altre sedi europee. La stragrande maggioranza dei presidi – contattati per capire quali danni possa creare una scelta del genere da parte dell’amministrazione Trump, decisa a tagliare tutti i rami secchi e gli sprechi – si trincera dietro un "no comment". E aggiunge: "Per rilasciare una dichiarazione dobbiamo essere autorizzati dai nostri atenei di riferimento, in America". Ma qualcuno a denti stretti si lascia sfuggire che "perdere la sede diplomatica sarebbe una jattura".
Per Fabrizio Ricciardelli – direttore della Kent State University e presidente dell’associazione che riunisce le università americane in Italia – l’addio del Consolato di largo Amerigo Vespucci avrebbe "implicazioni enormi se calcoliamo che ogni anno a Firenze arrivano 18mila studenti Usa, oltre ad altre migliaia di turisti. Nel caso, questi, dovessero perdere un documento, il consolato generale è in grado di consegnare loro una copia in un giorno. In futuro cosa dovrebbero fare? Andare a Roma? Anche per rinnovare il permesso di soggiorno in Italia?".
Firenze è una delle mete preferite dai ragazzi statunitensi: degli oltre 40 mila che vengono a studiare nel nostro Paese da gennaio a dicembre – in tanti restano anche per due o più anni – circa l’80% sceglie Roma o la città del Rinascimento. Per questo, aggiunge Ricciardelli, "non avere un avamposto consolare è un assurdità, una scelta miope e sarà anche controproducente. Tagliare la sede diplomatica di Firenze è come tagliarsi una gamba. Oltretutto tra il Consolato di largo Vespucci e le istituzioni sia locali che regionali, negli anni, si è creato un ottimo rapporto di collaborazione sfociato poi in progetti per i ragazzi Usa".
Il direttore della Kent tre giorni fa era a Palazzo Calcagnini – "e si respirava aria pesante", dice – per partecipare a una riunione con la console, la sindaca, il governatore della Toscana, il questore e il prefetto con un solo ordine del giorno: la sicurezza degli americani presenti nel capoluogo: "Spero che tutto il lavoro fatto in questi anni e che avremmo voluto continuare non si interrompa. La nostra speranza è che alla fine dai tagli ne esca indenne Firenze. Lo faremo capire anche ai nostri colleghi d’Oltroceano". E se dalla Stantford University si lasciano solo sfuggire due parole: "sarebbe gravissimo", Lorenzo Ricci, della New York University, prova a spingersi un po’ altre ma stando ben attento a non creare un incidente diplomatico con la sede del suo ateneo, nella Grande Mela.
"Credo che chiudere il Consolato sia una follia, un problema soprattutto per il supporto che abbiamo qui a Firenze. In caso contrario saremmo costretti a recarci continuamente nella Capitale per disbrigare tutte le pratiche burocratiche che riguardano i nostri alunni. Significherebbe passare la vita su un treno o in auto invece di organizzare e tenere lezioni".
AnPassan