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I fuochi per festeggiare il boss Così i Cuomo volevano Firenze

Maxi sequestro ai titolari di “Pizza, cozze e babà“, ristorante diventato bersaglio della guerra fra clan. Le carte inedite: "Nel 2020 uno spettacolo pirotecnico a Porta al Prato il capo uscì dal carcere"

di Stefano Brogioni

FIRENZE

La sera del 18 dicembre del 2020, nel cielo di Porta al Prato brillarono i fuochi d’artificio. Il medesimo spettacolo andò contemporaneamente in scena anche a Nocera Inferiore. Soltanto pochi eletti sapevano che stelle e fontane servivano a festeggiare la scarcerazione del "boss". E cioè Michele Cuomo, il cui fratello Luigi si era da poco spostato a Firenze dove aveva aperto il ristorante “Pizza, cozze e babà“. Il locale dove, nella notte del 23 febbraio, venne piazzato un ordigno davanti alla saracinesca. I Cuomo sapevano bene, da dove arrivava quell’avvertimento: il clan è da anni in guerra contro i rivali di Piedimonte, e l’emigrazione a Firenze di Luigi Cuomo ed alcuni fidati sodali era finalizzato a trovare nuove risorse per finanziare la “guerra“, che li vedeva in svantaggio, e al tempo stesso attivare nuovi business.

Se ne sono accorti subito i poliziotti della squadra mobile: quando esplose la “bomba“, il locale era già sorvegliato da una telecamera. Nei mesi scorsi sono scattati gli arresti e oggi, la famiglia Cuomo è destinataria della prima misura di prevenzione patrimoniale disposta dal tribunale per soggetti in odore di camorra che gravitano su Firenze. I sequestri, per un valore complessivo di 500mila euro, riguardano beni, assetti societari e disponibilità finanziarie riconducibili a Luigi Cuomo - oggi detenuto a Nuoro -, sua moglie e il figlio 20enne.

A seguito delle indagini patrimoniali svolte dalle Divisione Anticrimine delle Questura di Firenze e Salerno, e con il supporto del Servizio Centrale Anticrimine, sono stati sottoposti al provvedimento un’unità immobiliare a Nocera Inferiore, 4 autoveicoli tra cui un Land Rover, 2 motociclette, conti correnti, un deposito titoli, un fondo di investimento, quote e beni che compongono il patrimonio aziendale di almeno tre ditte riconducibili al campano.

Il decreto, spiega la questura, è fondato sulla normativa contemplata dal codice antimafia, che prevede il sequestro dei beni, nella disponibilità diretta o indiretta dell’interessato, qualora il loro valore risulti sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica svolta, ovvero quando, sulla base di sufficienti indizi, si abbia motivo di ritenere che gli stessi siano frutto di attività illecite o ne costituiscono il reimpiego. La proposta formulata congiuntamente dal Procuratore aggiunto Luca Tescaroli e dal questore Maurizio Auriemma ha evidenziato, altresì, la pericolosità sociale di Cuomo, basata sui numerosi procedimenti penali (alcuni dei quali conclusi con sentenze irrevocabili), a partire dal 2002, consentendo di ritenere che l’indagato, per la condotta e il tenore di vita attuale, vivrebbe, anche in parte, con i proventi di attività illecite.