STEFANO BROGIONI
Cronaca

I Pasho uccisi da Elona Kalesha: "Ma un complice l’ha aiutata"

La donna, all’epoca fidanzata del figlio della coppia, è stata condannata a trent’anni. Tre possibili moventi

I Pasho uccisi da Elona Kalesha: "Ma un complice l’ha aiutata"

Firenze, 15 settembre 2023 – I coniugi Pasho, i cui resti sono stati ritrovati in quattro valigie abbandonate in un campo tra la Fi-Pi-Li e il carcere di Sollicciano, sono stati uccisi il primo novembre del 2015, nell’appartamento di via Fontana, a Firenze, che la fidanzata del loro figlio Taulant, l’imputata Elona Kalesha, aveva preso in affitto a suo nome, e successivamente fatti a pezzi con un seghetto.

Sono le motivazioni della sentenza della corte d’assise di Firenze che, nel maggio scorso, ha condannato a trent’anni la Kalesha. Ma il tribunale, nella ricostruzione dell’omicidio, ipotizza la presenza di un complice. Un uomo o una donna - allo stato mai identificati - che l’avrebbe aiutata quanto meno "a portare a compimento le attività necessarie per sbarazzarsi dei copri, in un arco di tempo che corre dal 2 al 6 novembre, data quest’ultimo in cui è stata trasportata l’ultima valigia, chiuso l’appartamento lasciando le chiavi al suo interno ed effettuata la telefonata alla proprietaria".

"Potendo presumersi - prosegue la corte d’assise - che i tempi abbiano avuto una dilatazione, tanto da far avviare la decomposizione dei corpi, per la contemporanea necessità di gestire il compagno Taulant, con il quale aveva ripreso la convivenza a seguito della scarcerazione". Alla data del primo novembre come collocazione di un omicidio scoperto oltre cinque anni dopo (le valigie vennero casualmente ritrovate nel dicembre del 2020), il tribunale giunge anche per altri elementi. Quella mattina Shpetim e la moglie Teuta arrivarono in via Fontana (indirizzo che Elona “nascose“) dopo aver passato la notte da una figlia a Castelfiorentino, e la donna ebbe l’ultima conversazione con una sorella.

"Con ogni probabilità l’omicidio è avvenuto proprio nella tarda mattinata di quella domenica primo novembre e l’accesso all’appartamento descrittto da Elona Kalesha già nel 2015, ribadito al dibattimento, specificando di aver portato alle ore 14 “un ferro da stiro e una valigia“ aveva ben altri fini rispetto a quelli dichiarati: i coniugi non stavano preparando le loro cose per partire ma erano già morti o ridotti in stato di incoscienza e la valigia ed il ferro altro non erano che parte degli strumenti utilizzati per ucciderli, ovvero per depezzare e distruggere i loro cadaveri".

Il giorno successivo, il 2, quando Taulant lascia il carcere, "i coniugi erano già stati uccisi perché questa è l’unica spiegazione possibile al fatto che dalla mattina del giorno precedente non abbiano più dato notizia di sé in alcun modo, non abbiano cercato di contattare il figlio appena scarcerato e da quel giorno nessuno sia più riuscito a rintracciarli".

"Il ritrovamento dei loro cadaveri nel territorio fiorentino, e non in altre nazioni come l’Albania o la Germania, smentisce in modo granitico l’ipotesi, a ben vedere introdotta solo dall’imputata, di un allontanamento repentino", aggiungono i giudici.

Riguardo al movente, la corte d’assise individua una "pluralità di ragioni": da quello economico (i Pasho aveva con sé un’importante somma in contanti), i contrasti tra Elona e la madre di Taulant e infine la gravidanza, interrotta proprio mentre il fidanzato era detenuto: quel figlio poteva non essere suo.