Il caso Sollicciano. Suicidi e tentativi. Numeri da paura. Uno ogni sei giorni

L’aggiornamento del 3 agosto, a un mese di distanza dalla morte del tunisino di vent’anni: crescono gesti di autolesionismo e aggressioni. E cento detenuti vivono in non più di tre metri quadri.

di Stefano Brogioni

FIRENZE

Anche l’ultimo report del garante nazionale dei detenuti, Maurizio D’Ettore, è un bollettino di guerra. Nel carcere di Sollicciano si conferma il solito drammatico trend di tentativi di suicidio e gesti autolesionistici tra i detenuti.

Dal primo gennaio a sabato 3 agosto, sono stati registrati 38 tentativi di togliersi la vita dietro alle sbarre, uno ogni sei giorni; un numero che si va ad aggiungere al suicidio di Fedi, il 20enne di origini tunisine il cui gesto ha catalizzato l’attenzione collettiva sulle condizioni del penitenziario fiorentino e, più in generale, sulle carenze del mondo carcerario in Italia.

Non solo. In meno di otto mesi a Sollicciano sono stati riscontrati anche 245 gesti di autolesionismo, 47 atti di aggressione fra detenuti, una a figure amministrative e 46 nei confronti del personale della polizia penitenziaria, altre vittime indirette di questa situazione. Situazione che è sfociata anche in 18 episodi di protesta collettiva. Il più noto, è quello innescato proprio dal suicidio di Fedi: incendi, letti e arredi distrutti, sezioni inagibili e allagate.

Proprio in virtù di quei disordini, ci sono 110 posti non disponibili, che abbassano la capienza di Sollicciano da 497 a 387 posti. Tuttavia, i reclusi sono 511 (455 uomini, 56 donne), con un indice di sovraffollamento del 132, 04 (in lieve diminuzione rispetto alla precedente rilevazione) che, paradossalmente, non è tra i peggiori in Italia.

C’è da considerare però che ci sono 97 detenuti che hanno a disposizione uno spazio tra i 3 e i 4 metri quadrati, gli altri sono invece sistemati in più di quattro metri quadrati. Dopo la sommossa, una ottantina di reclusi sono stati trasferiti in altre case circondariali, sia per motivi disciplinari che per esigenze logistiche.

Tuttavia, le tante problematiche che hanno portato all’esasperazione la popolazione di Sollicciano sono tutt’altro che risolte. Secondo quanto si apprende da avvocati che hanno avuto colloqui con i detenuti, l’acqua continua ad arrivare a singhiozzo per i noti problemi all’impianto: non c’è la pressione sufficiente a far arrivare l’acqua nelle sezioni più alte perché se essa viene elevata c’è il rischio che le tubature - vecchie e logore - esplodano. Prima della rivolta di luglio, una cinquantina di detenuti avevano anche presentato un esposto in cui si lamentavano, oltre che dell’acqua, della scarsa igiene, del caldo e della presenza di cimici.

Ma di chi è la colpa? Dopo che il caso Sollicciano si è palesato in tutta la sua virulenza, il Dap ha anche avviato un’azione disciplinare nei confronti della direttrice Antonella Tuoni, che l’Amministrazione Penitenziaria ritiene colpevole delle condizioni in cui versa la struttura. Struttura dove però neanche i lavori - iniziati ma poi sospesi oltre un anno fa - sembrano sufficienti a risolvere problemi cronici, come quelli della climatizzazione o delle infiltrazioni. Tanto che, del partito del "buttiamolo giù e ricostruiamolo", fanno parte anche illustri esponenti della magistratura, come il procuratore generale Ettore Squillace Greco.