E
Cronaca

Il Distretto a un bivio: "Salvare il ’saper fare’ e disegnare il futuro. Cig per dare ossigeno"

"Lo sfruttamento è diventato inter-etnico: una volta erano i cinesi sui cinesi adesso è sui pakistani. Si cambia rotta facendo emergere l’illegalità" .

Il Distretto a un bivio: "Salvare il ’saper fare’ e disegnare il futuro. Cig per dare ossigeno"

"Lo sfruttamento è diventato inter-etnico: una volta erano i cinesi sui cinesi adesso è sui pakistani. Si cambia rotta facendo emergere l’illegalità" .

di Erika Pontini

e Francesco Ingardia

"Siamo davanti a un bivio: disegnare il Distretto dell’eccellenza di domani e, nel frattempo, dare una boccata d’ossigeno alle imprese con la cassa integrazione e l’accesso al credito, oppure ucciderlo. E quando il comparto moda si sarà risollevato nel 2026, secondo gli analisti, ci saranno solo macerie".

Bernardo Marasco, segretario regionale della Cgil non ha dubbi: la filiera può resistere ma a condizioni precise.

La Cgil ha scioperato, la moda sanguina. Quanto ne sta risentendo il distretto fiorentino?

"Tanto. Due i problemi sul tavolo: come evitare il disastro occupazionale nel 2025 e come tenere i lavoratori in forze nel distretto. Perderli significa rinunciare a un saper fare che è la ragione per cui le grandi griffe vengono a produrre qui, insieme all’alto valore della prossimità. Solo qui trovano tutto a chilometro zero".

La crisi da cosa è dovuta?

"Il mercato si sta trasformando. I brand chiederanno sempre meno pezzi, ma più raffinati, sofisticati e costosi, presupponendo l’immutabilità del saper fare dei lavoratori come fulcro centrale di un insediamento produttivo con medesima vocazione. Un paradosso. Per questo riteniamo siano indispensabili gli ammortizzatori sociali e il sostegno alle filiere. Il problema è la cattiva gestione industriale, non la ragion d’essere".

Però con un numero di occupati evidentemente rivisto al ribasso: se ci sono meno commesse, occorrono meno persone…

"Ecco perché è indispensabile che le griffe si impegnino nel re-shoring concentrando qua gli ordini, compattando le filiere e riducendo i livelli di sub-forniture. Contemporaneamente le pratiche illegali vanno sradicate una volta per tutte. Solo con questa politica, in un quadro di aggregazione d’impresa, potremmo mantenere livelli occupazionali qualificando un distretto più solido, reattivo e creativo nella competizione con gli altri player internazionali e dando la possibilità di produrre anche per brand emergenti".

La situazione internazionale instabile, la politica che sta attuando la Cina con il luxury shame e lo spauracchio dei dazi negli States, non fanno ben sperare. Preoccupati?

"Molto, abbiamo un settore vocato all’esportazione, le ricadute già ci sono. La monodimensione del mercato interno non può reggere".

Andiamo con ordine. Lei dice aggregare per sopravvivere, ma come?

"Le piccole realtà non sopravvivono nel lungo periodo senza ridurre i livelli di sub fornitura: maggiori sono più dequalificanti restano le condizioni di lavoro e del prodotto. Con dimensioni d’impresa più ampie c’è l’assorbimento di lavoratori che altrimenti rischiamo di disperdere. Questo è il tema dei temi che deve favorire la Regione".

Per arrivarci serve gestire l’emergenza. Il governo ha portato a 8 le settimane di cig e ampliato la platea alla piccola meccanica legata alla moda. Basta?

"L’ampliamento è per realtà con meno di 15 dipendenti, non esistono solo quelle. La cassa serve per tutti i settori della filiera dell’Arno e con otto settimane si arriva solo a Natale.

Quanta cassa serve?

"L’azzeramento dei contatori degli ammortizzatori ordinari. E, a esaurimento, prevedere delle casse straordinarie che non siano di 8 o 12 settimane, nonostante rappresentino una boccata d’ossigeno essenziale. Sia chiaro: in questo momento le aziende stanno già finendo la cassa ordinaria. Se non è oggi, il morto sarà sulla bara domani. Il distretto non può fare a meno di ammortizzatori per tutto il 2025. Questo settore dal 2013 non li ha più utilizzati".

Distretto illegale e caporalato. Le inchieste della magistratura al nord hanno annientato anche grandi brand. Qui qual è la situazione?

"E’ un fenomeno indegno ma difficile da dimensionare perché cangiante. Sappiamo che l’illegalità si annida nella parte terminale delle filiere e che dipende anche dai periodi e dagli ordini: nel momento in cui c’è stata grande richiesta di volumi si è troppo spesso fatto ricorso a manodopera illegale".

A Prato, lavoratori pakistani in balia dei caporali. E a Firenze?

"Il fenomeno dello sfruttamento è diventato da intra-etnico a inter-etnico. Una volta erano i cinesi sui cinesi, adesso è sui pakistani. C’è solo un modo per cambiare rotta, ed è quello che stiamo già facendo con buoni risultati: l’emersione del processo come strumento anti zone grigie. Solo se gli dai un’altra chance i lavoratori denunciano, altrimenti no: con quei salari, anche minimi ci devono mangiare".

Il 18 è data rossa sul calendario, c’è il tavolo in Regione...

"Lì formalizzeremo la richiesta nero su bianco degli elementi di sostegno alla trasformazione e alle politiche industriali che il distretto deve compiere. Mentre conteniamo l’occupazione, chiediamo la cura al paziente. Questo tira in ballo le scelte delle griffe, chiamate ora a reinvestire i soldi fatti in un processo di innovazione, rispetto al quale la Regione Toscana non può che partecipare in maniera attiva. L’altro aspetto fondamentale è la formazione".

Cgil e Confindustria, forse per la prima volta, appaiono sulla stessa lunghezza d’onda. Vedi l’apertura allo sciopero. È cosi?

"Vero, ma lo vedremo ai tavoli se sono dalla nostra parte. A loro chiediamo, in fase di gestione di crisi, di arrivare all’uso di tutti gli ammortizzatori sociali previsti e di lottare con noi per evitare i licenziamenti".

Se questo processo fallisse sarebbe un’ecatombe?

"In assenza di politiche sistemiche ogni azienda farà la sua parte per minimizzare l’impatto sui singoli bilanci massimizzando l’interesse privato e uccidendo il nostro distretto".