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Al Teatro della Pergola, da domani al 2 marzo, Geppy Gleijeses, diretto da Marco Tullio Giordana, è il protagonista de ’Il fu Mattia Pascal’
Debutta stasera alla Pergola, in replica fino a domenica, ’Il fu Mattia Pascal’, dal capolavoro di Luigi Pirandello. Protagonista è Geppy Gleijeses, con la regia di Marco Tullio Giordana. Regista, sceneggiatore, scrittore, Giordana è autore di film epocali come ’I cento passi’ e ’La meglio gioventù’. Ha vinto il premio Un Certain regard al festival di Cannes, quattro David di Donatello e due Globi d’oro. Ha diretto recentemente ’La vita accanto’, prodotto da Marco Bellocchio.
Marco Tullio Giordana, che cosa la affascina del ’Fu Mattia Pascal’ di Pirandello?
"È una di quelle letture che ti vengono inflitte a scuola, creando una reazione di ostilità. E invece affronta temi assolutamente contemporanei. La riprova è nell’attenzione che ho visto, da parte degli spettatori più giovani. Non si sentiva scartocciamenti di caramelle, niente smartphone illuminati. Erano come incantati".
Che cosa direbbe ai giovani spettatori?
"Guardate che è uno spettacolo che parla di voi!".
Chi è Mattia Pascal?
"Mattia Pascal dice di sé ‘ero inetto a tutto’: è il prototipo dell’uomo senza qualità, che diventerà una figura centrale della letteratura europea. Un uomo creduto morto, che si finge morto. E che, quando ‘resuscita’, si accorge che non può più essere riammesso nella società e nella famiglia, perché per la società e per la famiglia è morto davvero".
Che cosa ci dice, oggi, Mattia Pascal?
"È uno che sente che il mondo è più grande di lui, e non può dominarlo. Rappresenta lo stato d’animo di tanti di noi, di fronte all’incapacità di comprendere il presente, di incidere su di esso".
Era la prima volta che lavorava con Geppy Gleijeses? Come avete collaborato?
"Era la prima volta, anche se ci siamo ‘studiati’ da anni. Geppy è un attore grandissimo, e proprio per questo aperto alle proposte. È stata una collaborazione felice, e istintivamente complice. È stato fantastico lavorare con Totò Onnis, Mariù Prati, Ciro Capano, Nicola Di Pinto, Salvatore Esposito e tutti gli altri".
Pochi giorni fa il regista Pupi Avati ha proposto l’idea di un ministero autonomo per il cinema. Che cosa ne pensa?
"Avati è uomo di grande intelligenza. Staccare dai Beni culturali le competenze relative al cinema, agli audiovisivi e alla cultura digitale? Per me ha ragione. Quello dell’audiovisivo è un terreno enorme e cruciale: non può essere sostenuto adeguatamente da un Ministero che cura anche i musei e il patrimonio delle opere d’arte. L’audiovisivo oggi comprende una parte enorme della nostra formazione come società, e si evolve in tempi rapidissimi".
Per il cinema c’è un problema riguardo al finanziamento pubblico delle produzioni…
"È vero, ci sono stati abusi, qualcuno ha approfittato dei finanziamenti pubblici: ma non bisogna buttare il bambino con l’acqua sporca. Non bisogna tagliare i finanziamenti per ‘antipatia’ verso il cinema. Tutti i governi hanno in ‘antipatia’ il cinema, perché dice cose che la politica non dice. La ‘mancanza di simpatia’ del cinema è un anticorpo necessario della società".
Se lei fosse un uomo di governo?
"Cavalcherei il cinema, invece di affossarlo".