"Quanto la dura questa intervista? Perché tra poco esco, devo fare un chilometro e quattrocento metri". "Precisi?". "Spaccati". Una parola è un flash che scardina i lucchetti della memoria analogica. Alessandro Benvenuti da San Francesco, Pelago – costola di Pontassieve e provincia al tempo arcigna e fertile di immagini liriche e ruvide insieme che il Nostro rese arte da palco – a 74 anni è ancora quel ragazzone stralunato, cinico e geniale che puntava l’ovest di Paperino con i Giancattivi Francesco Nuti e Athina Cenci in un viaggio senza binari, solo quelli della mente.
Benvenuti, come sta?
"Benissimo. Chiudo la finestra che entrano i rumori di Roma".
Ci vive da tanto?
"Eh, dal 1980. Ma ho ancora casa a Pelago eh...".
E come si sta a Roma?
"Bene, qui c’è l’Italia in miniatura, con tutti i popoli del mondo. Il centro della Capitale è più grande di tutta Firenze".
Sono molto diversi i romani da noi fiorentini?
"Roma è una signora con il vestito variegato ma è anche sanguigna. Si va dal coatto al disincantato discendente di un impero. Firenze è una signora criticona, più difficile. La devi riconquistare ogni volta. Sa chi la descrisse con una frase fulminante?".
Chi?
"Paolo Hendel. Lo incontrai in un ristorante quando era appena uscito nelle sale il mio film ’Belle al bar’"
E cosa le disse?
"Disse ’Non l’ho ancora visto, appena trovo uno che me ne parla male vo subito al cinema’. Capisce che meravigliosa sintesi? Qui c’è l’intelligenza, l’umorismo, ma anche la libertà di pensiero del tutti contro tutti. A Roma non sarebbe mai successo".
Non avrà mica cambiato la fede calcistica?
"Diciamo solo che se vince la Fiorentina sono contento".
E’ critico con la sua città?
"Ma no. E’ una città che ha una lingua meravigliosa, piena di sogni, di immagini. Ma va curata, voglio esserne un sacerdote laico. Non si deve scadere nello stereotipo. Si ricorda invece la battuta della serie Boris?".
Con quella C aspirata i toscani hanno devastato questo Paese.
"Esatto. E’ una battuta ma in fondo spiega perché l’epoca d’oro del cinema toscano è durata solo 7 o 8 anni. Manca il rischio di provare a rinnovarsi, di esplorare altre strade. Io ho sempre cercato di cambiare, anche nel teatro dove non ho mai fatto uno spettacolo uguale all’altro".
Nel 1995 con quel piccolo gioiello che è ’Ivo il tardivo’ precorse i tempi...
"Era un film sull’autismo".
Perché lo fece?
"Perché in fondo un po’ lo sono anch’io. Ho i miei pensieri, le mie pause mentali. Quel film fu anche un viaggio dentro me stesso. All’epoca le mie bimbe mi dicevano ’Quando torna Ivo’?. Erano già intelligentissime. Sapevano che non sarebbe tornato perché quello era un film ma avevano capito che anche quello ero io, un altro io ma autentico come il loro babbo".
Oggi l’hanno resa nonno?
"Sì, di Nina che ha due anni e di Orlando di tre mesi. Sono una gioia infinita".
Nel ’90 girò ’Benvenuti in casa Gori’. La famiglia toscana a tavola a Natale che sembra una fotografia scattata con una risoluzione perfetta.
"Venivo da quel mondo, lo conoscevo. Gli attori furono spettacolari, perfetti. Alla fine il film nasce da un urlo di liberazione da un fallimento che fu anche il mio. A Natale si cena con la tavola rotonda, è come se ci fossimo girati intorno urlando".
Un po’ ’Parenti serpenti’ di Monicelli in salsa fiorentina?
"Beh, lo hanno copiato da me (ride ndr). A parte tutto è motivo di orgoglio aver forse ispirato un maestro del cinema"
Ci sarà ancora un capofamiglia iracondo come il Monni?
"Beh, forse sì in qualche paesino sperduto. Ma di quel mondo lì non c’è più niente. Ce ne sono i miasmi"
In che senso?
"E’ in corso una nuova estinzione, l’imbecillità è quotidiana. Come la cattiveria, il bullismo. Gli smartphone hanno rovinato le persone. Siamo ingozzati di dati e immagini ma non abbiamo più la conoscenza. Non c’è più il senso di vergogna".
La famiglia Gori ce l’aveva?
"Era un contesto familiare sincero, con piccole tragedie che diventavano grandi. Ma c’erano ancora delle regole morali".
Il più grande attore toscano?
"Io ho adorato Paolo Poli. E poi Andrea Cambi, Danielino Trambusti, Carlo Monni che era un colosso pieno di tenerezza. Con lui le parolacce erano poesia. E poi penso a Bobo Rondelli, gli feci fare il ’Cioni Mario di Gaspare fu Giulia’ e lo fece meglio di Benigni stesso che era già più istituzionalizzato".
Già. E Bobo Rondelli che suona e il Monni che canta ’Guarda che luna’ fu poesia.
"Carlo, Andrea, Bobo... Erano diversi. Un po’ disadattati come me. Comici drammatici, soli. Ci sono i comici felici e i comici complicati. Io mi sento più vicino a questi".
Un ricordo di Francesco Nuti?
"Che le devo dire. L’ho amato, odiato, riamato. Sapevo che non era un ragazzo semplice, aveva un lato oscuro, era nato con il male di vivere. Ma è la persona che mi ha fatto guardare dentro, mi ha costretto".
La sua canzone dell’anima?
"Adoro Frank Zappa"
E il film più bello di sempre?
"Maaaa. Duemila. La prendo in giro con un ricordo: ’La battaglia di Fort Alamo’. Lo guardai due volte al cinema a Pontassieve e tornai tardi a casa e il mio babbo me ne diede tante".
Suo babbo...
"Gli dedicai una canzone, ’Capodiavolo’. Delicatissima".