LETIZIA
Cronaca

Il giardino verticale che non c’è più

Letizia

Cini

C’era una volta - e svetta tutt’ora - il ’Bosco verticale’, orgoglio di una città (Milano), edificio fotografatissimo e venerato dai meneghini come bioicona verde.

C’era una volta - è c’è anche adesso - la ’Vergogna verticale’, appesa alla parete di un’antico spazio della città per ricordare a chiunque passi di lì come una buona idea possa trasformarsi in un orribile biglietto da visita. Lo spazio in questione è il prato secco sulla facciata del parcheggio delle Murate in viale Giovane Italia, tra via dell’Agnolo e via Ghibellina: solo un luogo dove lasciare l’auto, si dirà, ma in realtà si tratta di molto di più. Frequentatissimo dai turisti e da (pochi) cittadini che devono pagare a caro prezzo la sosta in prossimità del centro storico, il grande quadro vegetale composto da un sistema di pannelli modulari dove si alternavano geometrie e composizioni, segnando il passaggio delle stagioni, era germogliato nel settembre 2012. Giardino, colori e odori che avevano richiesto sei mesi di lavori e 80 mila euro di spesa (pubblica): per evitare che il ’Giardino verticale’ di Firenze potesse seccarsi, quel simbolo vivo di recupero urbano era stato dotato "di un sistema di irrigazione interna automatica", avevano assicurato ai tempi dell’inaugurazione dalla Direzione Ambiente di Palazzo Vecchio.

Ma cos’è successo?

Sparita ogni forma di vita vegetale, sulla parete rimane solo uno squallido scheletro di iuta, trasformando il progettato da ’Muro verde’ a ’Muro del pianto’. Le spiegazioni dell’ingloriosa fine di un esperimento che puntava dritto alla modernità, saranno tante e validissime. Sarà interessante conoscerle, ricordando le parole di Stefano Boeri, archistar del ’Bosco verticale’ milanese, eletto uno dei “cinquanta grattacieli più iconici del mondo“: "Bisogna forestare le città e far crescere nuove città-foresta se vogliamo arrestare il cambiamento climatico". Grazie architetto, riferiremo. I muri a secco, lasciamoli nelle campagne.