Per sconfiggere il nemico bisogna prima conoscerlo. Vale sempre, dalla medicina al calcio, figurarsi per lo spazio, dove gli avversari possono avere dimensioni inquietanti. E’ per questo che le agenzie spaziali del mondo sono impegnate nello studio degli asteroidi, spauracchi minacciosi che riempiono il cielo oscuro e che potrebbero entrare in rotta di collisione con la Terra. Non stiamo fermi a guardare: due anni fa la missione Dart della Nasa ha dimostrato che deviare un asteroide è possibile, colpendo il più piccolo del sistema binario Didymos-Dimorphos. Non basta però, perché se non sappiamo di cosa sono composti, non possiamo affinare appieno la nostra capacità di deviarli. La nostra atmosfera, infatti, non è in grado di ‘bruciare’ ogni oggetto che l’attraversa, proteggendoci. Anzi, tutto dipende dalle dimensioni di quell’oggetto e soprattutto dal materiale che lo caratterizza: il ghiaccio delle comete è una cosa, il ferro un’altra. E qui entrano in gioco l’Università di Firenze e il gruppo di sei esperti guidato da Giovanni Pratesi, professore associato di mineralogia planetaria del Dipartimento di Scienze della Terra. Il 7 ottobre scorso Pratesi era a Cape Canaveral ad osservare il razzo Falcon della Space X di Elon Musk lasciare la Terra per portare nello spazio, destinazione appunto Didymos-Dimorphos, gli strumenti necessari a capire la composizione degli asteroidi in modo da consentirci una difesa efficace. La missione Hera è stata organizzata stavolta dall’Agenzia spaziale europea ed è accompagnata dallo studio a terra delle meteoriti di cui disponiamo, il compito del team fiorentino di Pratesi.
"Analizzare la composizione delle meteoriti ci serve per avere spettri di riferimento una volta che arriveremo di nuovo al sistema binario di Didymos-Dimorphos – spiega Pratesi – E’ necessario avere materiale con cui confrontare quello che troveremo nello spazio, così da capire esattamente di cosa sono fatti gli asteroidi. Se avremo successo, cercando di comprendere anche come è strutturato all’interno il corpo celeste che studieremo, potremo dire di aver fatto un grande passo avanti per la difesa della Terra". Un passo che anche Firenze sta contribuendo a compiere. La squadra di Pratesi analizzerà meteoriti provenienti da tutto il mondo per i prossimi due anni, il tempo necessario al satellite lanciato all’inizio del mese per arrivare a destinazione. La missione nel complesso è costata 360 milioni e a chi si chiede perché investire così tanto per un pericolo soltanto potenziale Pratesi risponde con una data precisa.
"Sappiamo già con esattezza, grazie agli accurati modelli previsionali di cui disponiamo, che il 13 aprile 2029 l’asteroide Apophis passerà molto vicino alla Terra, parlando in termini astronomici. Al momento la possibilità di impatto è pari a zero, ma basta una piccolissima deviazione per cambiare le cose. Dobbiamo imparare a difenderci: ci sono oggetti celesti già costantemente monitorati, ora proviamo ad aggiungere capacità di reazione". E tra ‘i guardiani della galassia’ ci sono anche i professori dell’Università di Firenze.
Leonardo Biagiotti