Il maxi risarcimento. Esposto all’amianto quando era soldato. Ministero condannato

La Difesa verserà 300 mila euro agli eredi di un elettricista morto di tumore. Riconosciuta l’elevata esposizione al materiale durante il servizio di leva.

Il maxi risarcimento. Esposto all’amianto quando era soldato. Ministero condannato

Il ministero della Difesa verserà 300 mila euro agli eredi

Il tribunale civile di Firenze ha condannato il ministero della Difesa a risarcire con un importo di 300mila euro la vedova e il figlio orfano di un elettricista, nato nel 1931 e sempre vissuto a Impruneta, per un mesotelioma pleurico dovuto all’esposizione all’amianto durante il servizio di leva militare nell’Esercito Italiano fatto dal novembre 1954 al marzo 1956. L’uomo prestò servizio nelle caserme Michele Milano di Bari, Genio pionieri di Civitavecchia e Corrado Viali di Bologna. E durante questo periodo esercitò la mansione di elettricista – lavoro che poi ha continuato per 40 anni – venendo a contatto con l’amianto negli impianti della caserma. Un periodo di tempo, secondo i consulenti del tribunale, considerato sufficiente per contrarre il mesotelioma pleurico pur rimanendo patologia latente per decenni.

Nel 2016 si palesano poi i primi sintomi. Seguì il ricovero all’ospedale di Careggi e la scoperta della malattia. Circa un anno il decesso,e l’inizio di un’odissea giudiziaria. L’Inail, constatata l’esposizione professionale all’amianto, gli riconosce lo status di vittima del dovere. Mentre il ministero della Difesa rifiuta di riconoscere il risarcimento. I familiari decidono così di rivolgersi all’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, per ottenere un risarcimento danni. Arrivato pochi giorni fa.

Perché per la giudice Susanna Zanda, che ha fatto propria le osservazioni del legale e del consulente medico legale, la malattia cancerogena, "per sua natura a lunga latenza, fu innescata probabilmente dall’esposizione all’amianto durante il servizio di leva". Il tribunale punta poi i riflettori sull’attività da elettricista dell’uomo una volta terminata la leva, specificando che ha avuto un "ruolo concausale sia perché il lavoro di elettricista interferisce con le costruzioni civili in cui l’amianto era abbondantemente impiegato sia perché è presumibile che una tale attività abbia continuato ad esporlo all’amianto contenuto negli impianti elettrici perché tecniche e materiali degli impianti civili non sono dissimili da quelli militari, essendo stato bandito solo a partire dal 1990".

Le condizioni di lavoro hanno portato l’uomo a operare "anche nelle ristrutturazioni di vecchi edifici dove vengono rilasciate le polveri di amianto con i rischi di inalazioni conseguenti". Per la giudice, dunque "sussiste un concorso di entrambe le cause, non essendo possibile individuare una maggiore o minore efficienza causale dell’una o dell’altra".

"Si tratta dell’ennesima sentenza di condanna a carico del Ministero per il decesso di un militare dell’Esercito per elevata e non cautelata esposizione a fibre e polveri d’amianto e multipli cancerogeni che conferma l’allarmante dato epidemiologico sulle delle malattie e i decessi dei militari delle Forze Armate Italiane - denuncia Bonanni - Ci chiediamo le ragioni per le quali la Difesa neghi i diritti delle vittime nonostante le numerose pronunce di condanna dell’autorità giudiziaria, e auspichiamo l’intervento del Capo dello Stato per evitare queste sperequazioni che costringono i familiari, dopo l’odissea della malattia del congiunto e del lutto, ad affrontare anche continue azioni giudiziarie per far valere un proprio diritto".

P.m.