PAOLO CHIRICHIGNO
Cronaca

"Il mio Pitti visto da bambino". Qualità dei prodotti e made in Italy: "Firenze la nostra arma segreta"

Niccolò Ricci della maison di moda racconta di come il padre Stefano lo portava agli stand a 12 anni "Allora gli ordini si scrivevano a mano. Mentre oggi gli influencer puntano solo sull’estetica" .

"Il mio Pitti  visto da  bambino". Qualità dei prodotti e made in Italy: "Firenze la nostra arma segreta"

"Il mio Pitti visto da bambino". Qualità dei prodotti e made in Italy: "Firenze la nostra arma segreta"

"Avevo i calzoni corti quando sono entrato a Pitti per la prima volta, non scherzo. Ne ho visti parecchi, li ricordo tutti". Niccolò Ricci, erede della dinastia insieme al fratello Filippo (direttore creativo), la butta sull’ironia, ma dice la verità. Il babbo Stefano e la mamma Claudia gli permettevano di accogliere i clienti stranieri mentre frequentava le superiori.

Sono passati trent’anni che ha vissuto in presa diretta con la più grande manifestazione di moda maschile in Italia.

Niccolò Ricci è chief executive officer di "Stefano Ricci spa" (che nel 2023 ha superato i 200 milioni di fatturato), società che produce esclusivamente in Italia ed è presente nel mondo con settantadue boutique nel segmento Luxury Lifestyle Uomo. Niccolò è anche nel board di Pitti Immagine.

Ricci, lei ha vissuto in presa diretta gli ultimi venti-trent’anni di Pitti.

"Ne avevo 12 quando vidi per la prima volte fare le ordinazioni agli stand: allora si scriveva tutto a mano, in modo certosinonon come oggi. Si ordinava in loco, ora Pitti è diventato una specie di showroom. Allora c’erano marche monoprodotto, per costruire un guardaroba si doveva per forza fare riferimento a chi produceva cravatte, scarpe, coprispalla in modo autonomo. Oggi le aziende sono forti nel total look. Una bella differenza, dettata dalle esigenze di mercato. Chi si avvicina a una marca trova tutto l’occorrente".

Dicevamo di Pitti, sinonimo di Firenze nel mondo.

"La città è la nostra arma segreta, ci dà sempre un grande impulso. Firenze offre una visibilità mondiale che altrove non avremmo. Tutti i clienti stranieri sono strafelici di venire qui, vedono monumenti e ammirano panorami introvabili in altre parti del mondo. E trovano la magia della moda".

Pitti ai tempi dei social: meglio o peggio?

"Dipende. Oggi qui arrivano tanti influencer che puntano al gusto estetico del prodotto, noi alla qualità di ciò che offriamo. Chi vive sui social è più di rottura, vuol stupire e a volte provocare. E non sempre questo va nella direzione giusta: è un momento di impatto visivo che può servire, per carità".

Il pensiero torna agli anni Ottanta e Novanta.

"Nel 1986 mio padre creò il Consorzio Classico Italia, riunendo tutte le vere eccellenze del made in Italy. Mi viene in mente Ciro Paone di Kiton e Brioni. Così ribattemmo a Milano che voleva portarci via la moda maschile. Fu una grande intuizione che ha salvato il made in Italy nella città dove è nato, la nostra. Servivamo i più grossi negozi multibrand del mondo con grande successo. Un movimento felice e pazzesco allo stesso tempo. La cosa ha funzionato fino alla pandemia, poi il Consorzio si è sciolto. I negozi monomarca hanno preso piede e si è aperta un’altra era. Ma Firenze, ieri come oggi, resta la nostra arma segreta".

E le aziende hanno cambiato pelle, in questi anni?

"Hanno costruito una identità grazie ai loro negozi. E’ un modo diverso di pensare il mondo e il mercato globale".