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Il mistero del ’Vampa’ Mostro senza condanna

Pietro Pacciani, 23 anni fa la sua morte a Mercatale ancora avvolta dai dubbi. Dalle condizioni del cadavere alla caccia alle sue ossa: un giallo nel giallo

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di Stefano Brogioni

FIRENZE

Era domenica, quel 22 febbraio del 1998. E mentre la Fiorentina di Malesani travolgeva la Juve al Franchi, a Mercatale Val di Pesa Pietro Pacciani, prima condannato, poi assolto, ma nuovamente da processare per i delitti del mostro, venne trovato morto nella casa di via Sonnino. L’appartamento, una stamberga arredata con gli avanzi delle discariche, celebre più che altro per il suo orto, da cui era spuntata una cartuccia dello stesso tipo e calibro di quelle che avevano firmato gli otto duplici omicidi di cui era accusato il "Vampa", era spento e sprangato dall’interno. Recentemente, Michele Giuttari, il detective della pista dei compagni di merende, ha riacceso il mistero, dissotterrando dalla catasta di carte che contraddistinguono un’indagine lunga più di 50 anni, il verbale da lui firmato dopo aver toccato con mano il corpo, ormai gelido, di quello che per lui era il più scaltro degli esecutori materiali degli omicidi: il più alto del livello più basso, mentre la mente erano i mandanti, ignoti.

"Sul pavimento della stanza - scrive Giuttari nel suo atto in cui descrive il suo sopralluogo in via Sonnino - vi era il corpo, privo di vita, di Pietro Pacciani che si presentava disteso per terra a pancia sotto con i pantaloni abbassati. Lo stesso indossava pantaloni grigi, una maglia di colore azzurro ed un paio di scarpe allacciate da uomo di colore marrone, sporche di fango secco".

"Il medico legale - annota ancora Giuttari - constatava che: l’orologio al polso era fermo alle 3.10; l’uomo, all’altezza del pube, aveva uno straccio fermato alla maglia con tre spille di sicurezza, imbevuto di varechina; il decesso, data la morbidezza del corpo, non risaliva a molto tempo prima". Nella casa, come risulta da un’altra annotazione di servizio, non c’era nessuna bottiglia di varechina. "Strana", sempre secondo Giuttari, anche la presenza di macchie ipostatiche nella schiena, "dal momento che il cadavere, a dire dei carabinieri, era stato da costoro rinvenuto a pancia sotto".

L’altro mistero che avvolge la fine del Vampa, sta nell’Eoulus, un aerosol che, secondo la perizia tossicologica dei professori Mari e Bertol, era incompatibile con i problemi del suo cuore di 73enne. Eppure il medico curante gliene aveva segnati sulla ricetta due flaconi, ma in via Sonnino c’era una terza scatola: chi aveva suggerito al contadino l’utilizzo di quel farmaco? Ventitré anni dopo, resta un enigma dentro l’enigma dei 16 omicidi, alcuni giudiziariamente irrisolti. La morte di Pacciani, naturale o indotta che sia, interruppe il procedimento giudiziario in corso, già singolare di suo per la contemporanea presenza, in quel febbraio del 1998, del (presunto) capobanda libero, e dei suoi scagnozzi (Mario Vanni e Giancarlo Lotti) in galera. E poi condannati; a differenza di Pietro, oggi mostro, secondo le sentenze, seppur senza aver ascoltato l’ultimo verdetto del tribunale.

Sarà per questo che la figura di Pacciani tiene viva la curiosità e risveglia appetiti anche sinistri. Per le sue ossa, al momento dell’estumulazione, vi fu una vera e propria caccia al trofeo: facevano gola a un gruppo di scienziati, che volevano analizzarle per capire la genetica di un potenziale serial killer. Non ci riuscirono: il sindaco di San Casciano le fece disperdere in una fossa comune. In compenso, il suo dna se l’è conservato la procura. E di tracce genetiche del Vampa non ce ne sono sui reperti dell’ultimo delitto del 1985, quello degli Scopeti. Perché sono stati conservati male, dicono i colpevolisti. Perché Pacciani non è il mostro, ribattono gli innocentisti. E così il mistero va avanti, visto che pure l’ultima inchiesta, quella sul legionario Giampiero Vigilanti, si è chiusa con un’archiviazione.