di Antonio Passanese
FIRENZE
È uno dei personaggi più carismatici e popolari di Firenze. Un vulcano in continua attività, nonostante le novantadue primavere sulle spalle (oltre la metà delle quali “voce“ del Calcio Storico Fiorentino). Luciano Artusi, da sempre, manifesta l’amore viscerale per la sua città. E le oltre cento pubblicazioni al suo attivo (alcune scritte a quattro mani col figlio) ne sono una dimostrazione. Instancabile divulgatore, mai banale, storico attento a tratti maniacale, Artusi (che nel 2022 ha conquistato sia il Pegaso che il Fiorino d’oro), per il momento, non ha alcuna intenzione di andare in pensione. Anzi, per il 2025 ha la sua agenda piena di appuntamenti, conferenze, incontri.
Artusi ci dica la verità: nella sua vita, soprattutto professionale, quanto l’ha aiutata essere il pronipote di Pellegrino, gastronomo e critico letterario italiano?
"(Ride), non lo so, se proprio devo essere sincero. Di sicuro mi ha dato tanta notorietà. Fin da quando ero bambino, qualunque persona incontrassi, mi ha sempre rivolto la stessa domanda. Ovvero se fossi parente di Pellegrino. E sa perché?".
Ce lo dica.
"Perché in tutti i corredi delle spose degli inizi del secolo scorso c’era, tra le altre cose, anche il libro, o meglio il ricettario del mio illustre parente. E dunque, nelle famiglie fiorentine il mio era un cognome noto, di casa. Le nostre mamme si servivano della sapienza di quel testo per cucinare e per essere delle perfette cuoche. Ne ho visti tanti impataccati, usati fino a usurarli, con le macchie di olio o pomodoro… Che emozione!".
Lei ha fatto accenno alla sua infanzia, quale ricordo ha di quando era bimbo?
"Mi sento fortunato ad essere nato in questa città. Mi sento fiorentino dalla punta dei capelli ai piedi. Sono del ‘32 e abitavo al Canto alle Rondini, vicino via Verdi. C’erano le giostre, i cinema. La mia fanciullezza, vissuta durante il periodo fascista, l’ho trascorsa in via della Colonna, dove ho frequentato le scuole. Ricordo gli anni da “figlio della lupa” e poi da “balilla”, la visita dei due dittatori, che con i miei compagni di classe guardammo dalla scalinata della Loggia del Bigallo, perché era impossibile proseguire a causa della folla. E poi la festa per la Liberazione, dopo l’occupazione nazista. Sono tante le immagini che affollano la mia mente".
Scrittore, divulgatore, studioso... In realtà chi è Luciano Artusi?
"Un uomo che ha vissuto e che vive di passioni, che ha continuamente voglia di conoscere, che non si arrende".
Lei si definisce testardo.
"Lo ammetto, in fondo sono un Capricorno".
E come si è tradotta questa testardaggine nella sua vita?
"Nel portare avanti tanti progetti, anche piccoli, a cui nessuno credeva e che invece, poi, hanno riservato grandi scoperte che io riporto nei miei libri"
Qual è il suo più grande orgoglio?
"Aver portato il Calcio Storico a quello che è oggi. Un percorso iniziato negli anni Cinquanta, quando entrai a lavorare in Palazzo Vecchio. Avevo 19 anni, e alla fine gli ho dedicato più di sessanta anni della mia vita".
Rammenta la prima volta che, in campo, urlò il comando e poi il “Viva Fiorenza“?
"Sì, e non fu a Firenze ma a Roma, nel 1960, per l’inaugurazione dei giochi olimpici".
Le manca il “sabbione“?
"E me lo domanda? Solo chi lo percorre riesce a capire le emozioni che sprigiona, la carica che infonde".
E della Firenze di una volta?
"Mi mancano le botteghe. Erano un’università. Le si viveva assaporando l’autenticità di una città che in fondo è sempre stata un paesone. Con i suoi rioni, le sue rivalità. Ora, ovunque ti giri cosa vedi? Cibo, cibo, cibo. Bisogna tornare alle origini. Guardi, c’è una cosa che proprio non mi va giù, mi disturba tantissimo...".
Ce ne renda partecipi.
"Il non sentir più parlare fiorentino: se a qualcuno oggi dici “i’tocco“oppure “si va a desinare“ ti guarda come se fossi un marziano. Sarò âgé ma a me manca quel mondo che era comunità, veracità. Fiorentinità, per l’appunto".
E non c’è altro che la disturba?
"In verità sì: la tramvia".
E che noia le dà?
"Qualche giorno fa sono passato in piazza San Marco: irriconoscibile. Pare uno scambio ferroviario. Per non parlare di piazza della Stazione, piena di pali e fili. Trovo che Firenze abbia bisogno di ritrovare se stessa. Ed è questo l’augurio che le faccio per il 2025".