E’ l’artista del “Quarto Stato“, il dipinto-manifesto del 1901, che è stato la sua fortuna ma anche causa del suo oblio. Giuseppe Pellizza da Volpedo è molto di più del suo quadro icona: pittore maledetto senza clamore, quasi con gentilezza, divisionista intriso di simbolismo, è uno dei più grandi e meno celebrati artisti italiani a cavallo dei due secoli, morto suicida nel 1907. A raccontare l’anima, oltre che i dipinti, di questo uomo innamorato della sua provincia alessandrina, è il regista Francesco Fei, fiorentino doc che da anni a Milano ha avuto successo un po’ in tutto: videoclip per Battiato, i Negrita ai Bluvertigo, a docufilm su Segantini e Caravaggio.
Francesco Fei, dopo la presentazione al Festival del Cinema di Roma, il suo ’Pellizza, pittore da Volpedo’, con Fabrizio Bentivoglio, martedì esce nelle sale. Come nasce il film? "Dopo il docufilm su Segantini è stato naturale. Ma soprattutto è stato grazie all’associazione Mets Percorsi d’Arte di Novara, che aveva contatti con i privati proprietari dei quadri di Pellizza. Non è stato un artista fortunato. Basti pensare che il “Quarto Stato“ fu comprato dal Comune di Milano nel 1920. Di lì a poco arriva il fascismo e il quadro sparisce fino agli anni ’50. Sono poche le sue opere nei musei".
In questo film c’è anche un po’ della sua Firenze. "Sì, ci sono riprese del trasporto del “Quarto Stato“ da Milano a Palazzo Vecchio, girate in occasione della collaborazione fra i due musei Novecento. Per il direttore Sergio Risaliti ho realizzato anche le immagini della nostra di Jenny Saville. Ma tornando indietro nel tempo, ricordo che Pellizza studiò a Firenze come allievo di Fattori".
Cosa le ha lasciato Pellizza? "Tanta soddisfazione. Lavorare su un artista così è stata un’operazione coraggiosa, perché il grande pubblico conosce solo nomi celebri. Così credo di aver fatto qualcosa dal valore culturale e divulgativo. Quest’uomo così sfortunato se lo meritava. Il “Quarto Stato“ è un dipinto non solo straordinario per la qualità pittorica, ma per la rappresentazione di questi uomini, che non sono un gruppo in rivolta, ma il ritratto della dignità e dell’onesta, e per questo persone anche belle. Non a caso sono in abiti puliti, senza strumenti del mestiere, perché il loro significato è al di là del lavoro".
Perché Fabrizio Bentivoglio? "E’ stato fondamentale, non solo perché bravo e con una voce bellissima, ma perché volevamo un attore che fosse in sintonia col pittore. E lui ha sempre fatto scelte coerenti con la sua volontà artistica. Volevamo che nel momento in cui varca la soglia dello studio di Pellizza fosse credibile come un visitatore che rivive i luoghi del pittore".
Progetti a breve? "Sto girando un film su Piero Pelù con Film Commission Toscana, pronto in estate. Una storia bella da raccontare a livello umano oltre che musicale".