REDAZIONE FIRENZE

Il retroscena. Un processo scomodo dietro al cambio al vertice della Dia

Carabiniere che indagava sulla ’ndrangheta accusato di aver utilizzato l’auto di servizio per tornare a casa: assolto. La difesa: ritorsione per le sue scoperte. E ora c’è una controdenuncia nelle mani di Spiezia.

Il retroscena. Un processo scomodo dietro al cambio al vertice della Dia

di Stefano Brogioni

FIRENZE

Era accusato di aver utilizzato un’auto della Direzione Investigativa Antimafia di Firenze, a cui apparteneva, per fini privati: cioè recarsi a casa dopo un servizio perché la propria macchina era fuori uso. Non un servizio qualsiasi, quello del luogotenente Andrea Frosali: per conto della Dda di Ancona, stava proseguendo le indagini sui tentacoli della ’ndrangheta in Emilia Romagna, una morsa che avrebbe avvinghiato anche un giudice.

Il carabiniere è stato assolto da ogni accusa, ma quel processo potrebbe sollevare un vespaio. E le sentenze (definitive) che hanno decretato l’estraneità di Frosali alle accuse, potrebbero aver avuto un peso nell’avvicendamento, avvenuto la scorsa estate, nel bel mezzo delle indagini sulle stragi del 1993, dell’ex capocentro Francesco Nannucci, poliziotto trasferito nei mesi scorsi alla questura di Lucca e sostituito, per la prima volta nella storia della Dia fiorentina, da un appartenente all’Arma dei carabinieri, il colonnello Alfonso Pannone.

Frosali, 55 anni, era stato mandato a giudizio per peculato e falso ideologico in atto pubblico, una macchia pesantissima per un investigatore del suo spessore. Ma le accuse nei suoi confronti si sono assottigliate già di fronte al gup, Fabio Frangini, che, nell’ottobre del 2021, dispose il giudizio per il luogotenente dell’Arma soltanto per un episodio di peculato.

Caddero subito, insomma, le accuse di falso, anche grazie a una perizia calligrafica su una firma (risultata falsa) che testimonierebbe la fabbricazione di un atto attribuito a Frosali. Ed è lo stesso giudice, nella sua sentenza, a cristallizzare qualcosa di anomalo alla base delle accuse di utilizzo indebito di una Tipo. Secondo il gup, appare "assolutamente inopportuna e fuori dagli schemi" la comunicazione che il capocentro Nannucci - che aveva avviato l’indagine su Frosali - aveva inoltrato al pm: "nel trasmettere il verbale di interrogatorio di Frosali dell’11.12.2020, non si limita a rappresentare sinteticamente le sue affermazioni o a rappresentare dati oggettivi, ma si spinge addirittura a fare ’valutazioni’ anche di natura giuridica, che sono di ’esclusiva pertinenza’ dell’organo giurisdizionale". Poi, nel dibattimento, dove Frosali si è sempre difeso dicendo di essere stato autorizzato a recarsi a casa con la Tipo di servizio (accompagnò pure alcune colleghe, che non hanno avuto grane giudiziarie), è emersa una "carenza probatoria" dovuta al "contenuto impreciso e a tratti contraddittorio delle testimonianze dei diversi funzionari ed operanti della Dia". Il tribunale, nella seconda sentenza di assoluzione di Frosali depositata a febbraio, “suggerisce“ alla procura di valutare le testimonianze assunte. Si astiene però dal prendere posizioni circa quello che, secondo la difesa di Frosali, sarebbe stato il “movente“ delle denunce contro il carabiniere: le sue scoperte fatta indagando per conto dell’Antimafia di Ancona. Una, in particolare: un contatto telefonico tra l’utenza dell’allora capocentro Dia Nannucci e un “bersaglio“ delle intercettazioni su cui stava facendo indagini Frosali. In aula, Nannucci ha risposto di aver fatto quella chiamata come “test“ per verifica della registrazione. Ma tutto questo è finito dentro una controdenuncia presentata dall’avvocato Neri Cappugi, per conto del carabiniere, al procuratore capo Filippo Spiezia.