Il segreto dei brigatisti. Due pistole e una mitraglietta. Un arsenale mai scoperto

Neanche la pentita Cinzia Banelli ha mai saputo indicare il nascondiglio delle armi usate per i delitti Biagi e D’Antona e la rapina di via Torcicoda: "Avevamo un deposito a Fiesole".

Il segreto dei brigatisti. Due pistole e una mitraglietta. Un arsenale mai scoperto

Neanche la pentita Cinzia Banelli ha mai saputo indicare il nascondiglio delle armi usate per i delitti Biagi e D’Antona e la rapina di via Torcicoda: "Avevamo un deposito a Fiesole".

di Stefano Brogioni

FIRENZE

C’erano pistole e una mitraglietta, il 6 febbraio di ventuno anni fa in via Torcicoda. E le armi usate in quella rapina, che avrebbe dovuto finanziare le future azioni delle Nuove Brigate Rosse di Nadia Desdemona Lioce, Mario Galesi e Roberto Morandi, non sono mai state trovate. E non solo quelle: nella ricostruzione della stagione che culminò negli omicidi, il 20 maggio del 1999 a Roma, del giuslavorista Massimo D’Antona e, quasi tre anni dopo, a Bologna, del professor Marco Biagi, ci sono ancora dei buchi da colmare. A cominciare appunto dalle armi: un segreto che i membri del commando continuano a custodire.

A parlare di un arsenale fu anche Cinzia Banelli, la "compagna So" che con il suo pentimento si rivelò decisiva nell’individuazione dei componenti del gruppo toscano.

"Ho colto che vi dovevano essere al massimo sei pistole e un’arma lunga. So che vi era un deposito interrato a Fiesole con un’arma lunga e una pistola. Tale deposito è stato dismesso. Il deposito di Fiesole era sotto la responsabilità politica del coordinamento toscano. Non so dove siano state trasportate".

Banelli colloca questo ricordo intorno all’estate del 2001, nel momento in cui c’è il suo "arretramento" dalla posizione di militante, con conseguente crescita di Morandi. Da una santabarbara brigatista spuntarono anche le pistole e un’arma “lunga“ presenti nel 2003 all’Isolotto. Quel giorno, i terroristi, dopo aver studiato nei minimi dettagli gli orari dell’ufficio postale, l’arrivo di un furgone blindato, coperto le vie di fuga, s’impossessarono di oltre sessantamila euro. La Banelli elencò i partecipanti con i loro nomi di battaglia: Paolo (Mario Galesi), Roberta (Nadia Lioce), Maria (Diana Blefari, che dopo l’arresto si suiciderà in carcere), Ugo (Marco Mezzasalma) Aldo, (Roberto Morandi), Carlo o Andrea (Simone Boccaccini), oltre a lei, Barbara, attiva nella fase preparatoria.

Un piano che non riuscì, qualche mese prima (il 5 dicembre 2002) in via Tozzetti. Sempre un ufficio postale: in quel’occasione i comunisti combattenti studiarono un piano forse troppo complicato: avrebbero dovuto far esplodere con un telecomando un pacco consegnato poco prima da cui sarebbe fuoriuscito del fumo, in modo da creare il panico tra i dipendenti.

Il conflitto a fuoco sul treno. Avevano una pistola, i brigatisti, anche quando nel conflitto a fuoco del 2 marzo 2003, un mese dopo la rapina all’Isolotto, perse la vita l’agente di polizia Emanuele Petri e Galesi. Petri è stato trafitto al collo da un colpo sparato dalla calibro 7,65 che il capo delle nuove Br aveva con sè. La Lioce invece tentò di raccogliere quella di un poliziotto, ma non riuscì a far fuoco perché c’era la sicura inserita.

Ma l’arsenale dei brigatisti doveva essere molto più ampio. Per uccidere Biagi e D’Antona è stata usata la medesima automatica, e anche quella non è mai saltata fuori. Per altro, a Roma non vennero recuperati bossoli, mentre a Bologna sì: sono calibro 9x17 di marca ceca, Seller&Bellot.

Quell’arma non era nei covi che furono scoperti, perché probabilmente per una precisa scelta, i nascondigli delle armi erano sempre fuori dalle basi.

Oggi, a più di vent’anni dagli arresti, si può ipotizzare che Galesi fosse a conoscenza dell’ubicazione dei depositi, o anche che ogni colonna - quella toscana e quella romana - avesse il proprio. Forse quei nascondigli non sono un segreto per la Lioce, vertice dell’organizzazione oggi detenuta nel carcere dell’Aquila.

E Boccaccini? Il ruolo dell’ex idraulico di Grassina è ancora tutto da decifrare, nonostante le condanne passate in giudicato (per aver partecipato ai sopralluoghi inerenti l’omicidio Biagi e per banda armata a Roma). Lui, a differenza di Lioce e Morandi, non ha mai dichiarato la sua appartenenza. La sua liberazione grazie agli sconti di pena previsti dalla legge continua a fare rumore.

"Non c’è un accanimento da parte mia e non mi turba che Simone Boccaccini, avendo avuto uno sconto di pena per buona condotta, sia uscito di prigione 10 mesi prima", ha detto Olga Di Serio, vedova di Massimo D’Antona. Di diverso avviso Lorenzo Biagi: "Ha tutta la mia comprensione, difficile perdonare chi ti ha tolto l’affetto di un padre. Ognuno vive il dolore in base alla propria sensibilità. Mi auguro che Boccaccini durante la sua detenzione abbia avuto un sincero ravvedimento rispetto al crimine commesso". Lui non le ha mai scritto dal carcere: "No, mai. La scarcerazione per buona condotta rientra nei termini di legge". Per quanto riguarda la perdita subita "la ferita è aperta sempre", ma "ciò non significa che bisogna accanirsi. Non si sta meglio covando sentimenti di vendetta".