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Omicidio Ciatti, il silenzio dei ceceni, in aula con le mamme

Bissoultanov e Magomadov impassibili anche quando i genitori di Niccolò hanno cercato di avvicinarli. Domani saranno sentiti

I familiari degli imputati durante una pausa del dibattimento

I familiari degli imputati durante una pausa del dibattimento

Girona (Spagna), 31 maggio 2022 - Ci sono le madri, fasciate nei vestiti della loro religione musulmana, e c’è anche un fratellino piccolo. Non ci sono più i muscoli e lo sguardo baldanzoso delle foto sui social russi del passato, resta uno sguardo fermo, impassibile, vitreo.

Imperturbabile, imperturbabili, anche quando due genitori vanno loro incontro, accecati dell’ira, gridando "assassini, maledetti".

Rassoul Bissoultanov e Movsar Magomadov erano poco più grandi di Niccolò, quella notte d’agosto del 2017.

Oggi, sono imputati per quell’omicidio. Siedono nella prima fila di un’aula non abituata a un processo come questo. Dribblano gli scatti dei telefonini, ma non sempre ci riescono. Ma restano anche impermeabili a tutto quanto succede loro intorno.

Per Luigi Ciatti, "sono dei soldatini ed eseguono quello che gli è stato detto di fare". Se fosse un copione, dunque, devono recitare la parte dei bravi ragazzi. Tanti chili e tanta creatina in meno, bicipiti assai più normali, capigliatura meno folta per Bissoultanov, che pare, nella semilibertà di cui sta godendo, abbia trovato lavoro in un locale da queste parti. Indossa una camicia celeste, i jeans scuri, le sneakers. Accanto a lui, l’interprete che traduce i racconti di quella notte di cui, con il connazionale Magomadov, seduto sull’altro fianco, è il sinistro protagonista. Una trama di violenza e morte andò in scena sulla pista della discoteca St Trop di Lloret de Mar. Ma non era un film. Erano arrivati da Strasburgo in macchina, in tre, tutti figli di rifugiati politici riparati in Francia, dopo la discoteca avrebbero dormito direttamente in spiaggia. Invece, in spiaggia arrivarono i poliziotti catalani ad arrestarli. Gli altri due vennero rilasciati subito, Bissoultanov resterà in prigione fino al 2021, per venire poi rilasciato alla scadenza dei quattro anni di carcerazione preventiva. Il resto è un ping pong di sentenze, mandati d’arresto e decisioni incomprensibili.

Ora è lì, in aula, pronto a farsi processare perché quella spagnola è la giustizia per lui più conveniente. Male che gli vada, saranno 24 anni, più una coda di altri anni di libertà vigilata. Ma i suoi difensori, volpi astute del foro locale, vogliono dimostrare che non voleva uccidere. Ridimensionare l’accusa significherebbe anche ridimensionare la pena.

Domani è il giorno dell’esame degli imputati. Per Magomadov, invece, la procura non ha chiesto alcuna condanna. Al suo processo, si è arrivata ostinatamente la difesa chiedendone l’imputazione. E ottenendola. Per lui ballano quindici anni.

stefano brogioni