Il vortice delle comunità minorili: "Picchiati e derubati dai compagni"

Le strutture alternative al carcere diventano una giungla dove i ragazzi più deboli vengono bullizzati. Un ragazzo denunciato per estorsione e tentata violenza sessuale. Il suo legale: "Più seguiti negli istituti".

Il vortice delle comunità minorili: "Picchiati e derubati dai compagni"

Il vortice delle comunità minorili: "Picchiati e derubati dai compagni"

di Pietro Mecarozzi

"Ci hanno picchiato e derubato delle poche cose che avevamo addosso: adesso viviamo nella paura". Miguel (nome di fantasia) è un ragazzino di 13 anni che, insieme ai fratelli di 6 e 4 anni, è stato trasferito in una delle comunità terapeutiche/socio–educative per minori, presenti sul territorio fiorentino, dopo che in famiglia la situazione è precipitata e i genitori non erano più in grado di badare a loro. Un luogo che avrebbe dovuto cambiarle la vita in meglio, ma che si è rivelato una giungla, dove vige la legge del più forte.

Le comunità sono strutture sono previste dall’ordinamento giuridico (più ‘soft’ in confronto ai penitenziari minorili), dove vengono ospitati ragazzi – che ancora non hanno compiuto la maggiore età – in attesa di giudizio o già condannati, che si sono macchiati di reati non così gravi da meritare il carcere. Dentro, però, ci sono anche giovani con alle spalle storie familiari complicate, presi in affidamento dai servizi sociali, e minori stranieri non accompagnati che non hanno un altro posto dove andare.

"All’interno si mischiano storie e culture troppo differenti – spiega l’avvocato Elisa Baldocci, che si occupa degli interessi dei tre fratelli –, e si creano dinamiche distorte, dove i giovani che hanno subito traumi familiari vengono sopraffatti da chi invece è lì per aver commesso dei reati".

Le foto delle aggressioni subite dai tre giovanissimi parlano chiaro. Lividi, graffi su mani e braccia, tagli sul viso. "Ho chiesto il loro trasferimento – continua l’avvocato –, e sono stati portati a Reggio Calabria, a centinaia di chilometri di distanza da casa, dai genitori e dagli amici". Mentre la città, quindi, è teatro di un’escalation di violenza che vede come protagonista le baby gang, nelle comunità – dove spesso si trovano gli stessi capetti delle bande – si consumano episodi di criminalità innescano comportamenti di difesa e alimentano un sistema di devianza sui giovani.

Luca, per esempio, a 16 anni era finito in comunità per trascorsi poco felici con il padre, ma una volta dentro il suo atteggiamento è cambiato. Decisamente in peggio. "È stato accusato di estorsione verso i compagni – spiega l’avvocata che lo difende, Raffaella Navarri – e di tentata violenza sessuale su un’operatrice. Adesso si trova nell’istituto minorile di Firenze e, paradossalmente, mi ha detto che si trova molto meglio, perché è più seguito e il suo tempo è impiegato in modo migliore".

Pochi fondi, personale sottorganico, e mancanza di nuove strutture adeguate. Sono anche questi i nervi scoperti di un settore "fondamentale per i giovanissimi", spiega la responsabile di una comunità (che preferisce rimanere anonimo). "Sono realtà in difficoltà – conclude –, i posti letto sono pochi e i ragazzi da seguire sempre di più. Servono professionisti sanitari, che hanno un costo, e operatori formati per contesti simili. Serve una svolta, per evitare di perdere del tutto questi ragazzi".