Claudio Capanni
Cronaca

La cittadella della benzina, impianto classificato ad alto rischio. L’Eni: “Siamo vicini alle famiglie”

Il piano di emergenza ha funzionato e il lavoro dei pompieri ha permesso di contenere i danni In Italia ci sono altre 970 strutture che presentano profili di pericolo come lo stabilmento di Calenzano

Firenze, 10 dicembre 2024 – Un impianto ad alto rischio industriale. A classificare così il maxi deposito Eni di Calenzano da oltre 170mila metri quadrati a 15 chilometri in linea d’aria da piazza della Signoria a Firenze, è la direttiva Seveso, il pacchetto di norme europee varate dopo il disastro del 1976 quando nella bassa Brianza un incidente all’azienda Icmesa, sprigionò nell’aria una nube tossica di diossina. Quella nuvola fu il primo choc ambientale italiano. Una nube rosa, dal colore rassicurante: era in realtà veleno puro. Il colore opposto alla colonna di fumo nero, denso e bollente che ieri, per effetto dello sbalzo termico è stata proiettata alta nel cielo della piana fiorentina. La differenza con Seveso: a bruciare stavolta sono stati idrocarburi. Tossici sì, ma in minor misura e per fortuna dispersi in poco più di un’ora dal vento.

Ma qual è la funzione della cittadella della benzina alle porte di Firenze? Non si tratta di una raffineria, ma di un impianto di stoccaggio ’allacciato’ a Livorno grazie a due oleodotti lunghi 80 chilometri che costituiscono un doppio cordone ombelicale con la raffineria Eni della costa. È da qui che vengono pompati sotto la pelle della Toscana, benzina, gasolio e kerosene. Altri lotti di carburante invece arrivano via autobotte dalla raffineria Eni di Venezia. Ma non solo: a strisciare sottoterra verso Calenzano è anche il jet-fuel, il carburante cioè per gli aerei, il ‘coloroil’ e il powerguard, additivo per il diesel. In tutto 160mila tonnellate di carburante. Potrebbero essere anche queste le sostanze finite nella nube.

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Alcuni soccorritori intervengono nel luogo dell’esplosione

I carburanti una volta a Calenzano vengono stoccati in serbatoi atmosferici cilindrici, circa 30, in attesa dell’invio alle pensiline di carico delle autobotti che poi riforniranno i distributori della città. È a quelle pensiline, durante le operazioni di carico di una delle autobotti, che è avvenuta l’esplosione. Ed è proprio la fase di carico a essere giudicata la più pericolosa dagli addetti ai lavori: per questo il sito di Calenzano, rappresenta uno dei cinque stabilimenti industriali toscani giudicati ad alta soglia di rischio: dove possono verificarsi quelli che la direttiva Seveso bolla come “incidenti rilevanti”. Possibili in ben 971 stabilimenti industriali in tutta Italia. Un rischio che, per lo stabilimento di Calenzano, è giustificato anche dal fatto che la cittadella si trovi vicino ad aree delicate come cristallo: due torrenti (Garille e Marina), un centro commerciale, sei alberghi e, nel raggio di un chilometro, tre scuole fra materne ed elementari, una Rsa e una piscina. Oltre a 15 aziende danneggiate ed evacuate. A causarli oltre all’onda d’urto anche il mini sisma di magnitudo 0.9 generato dall’esplosione.

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Ma il piano di emergenza del deposito e il lavoro dei vigili del fuoco, hanno ’funzionato’ contenendo i danni. A essere scongiurato è stato l’effetto domino, una serie di esplosioni che rischiava di coinvolgere gli altri serbatoi di carburante: un inferno. L’esplosione da ’pool fire’, un incendio da ’pozza’ tipico degli idrocarburi, ha investito magazzino, sala di controllo e spogliatoi nell’arco di 130 metri, danneggiatola struttura, ma non incendiandola. In queste ore l’Arpat, sta facendo verifiche su canali di scolo. Per quando riguarda la nube, l’emergenza è rientrata non appena il fumo si è disperso. Eni intanto con una nota esprime “la propria forte vicinanza alle famiglie dei deceduti e alle persone rimaste coinvolte nell’incidente” e conferma che “sta collaborando con l’autorità giudiziaria”. L’alba di oggi, fuori dalla cittadella della benzina, sarà per la conta dei danni. Anche se il bene più prezioso, la vita, è già stato perso.