
Matteo Renzi prima di un’udienza al palazzo di giustizia
di Stefano BrogioniFIRENZEMeno di trenta pagine per demolire più di cinque anni di inchiesta e sedici udienze della “preliminare“. Ma le motivazioni della sentenza con cui il gup Sara Farini lo scorso 19 dicembre ha prosciolto Matteo Renzi e gli altri imputati dell’inchiesta sulla Fondazione Open sono tranchant, almeno in alcuni punti. Per quanto riguarda il filone del presunto finanziamento illecito ai partiti - quello in cui, tra gli imputati figuravano oltre a Renzi anche Maria Elena Boschi e Luca Lotti, l’imprenditore Marco Carrai, l’avvocato Alberto Bianchi, che fu presidente della Fondazione -, scrive il gup, l’esito era già stato segnato dalle due "Corti superiori", Cassazione e Corte Costituzionale, che erano intervenuti sul cosiddetto “sequestro Carrai“.
Queste due pronunce hanno avuto "un impatto decisivo sulle sorti di questa udienza preliminare" in quanto "questo Gup ha ritenuto inutilizzabili ai fini della decisione sulla richiesta di rinvio a giudizio tutte le chat ed email aventi come interlocutori soggetti parlamentari". Una decisione, quella della Suprema Corte, dalla "motivazione ampia e lineare fondata essenzialmente sul dato normativo e quindi difficilmente contestabile", che escluse la presenza di "argomenti sufficienti per ritenere che la Fondazione Open agisse in simbiosi con il Pd e la corrente renziana quale articolazione di partito". Tutti elementi che, sempre secondo il giudice Farini, non hanno consentito "alcuna ragionevole prognosi di condanna".
"Pienamente lecita", dice ancora il gup Farini, "l’attività di fundraising, il finanziamento ad attività di partito o il sostegno a candidati svolto dalla Fondazione Open".Il capitale, raccolto tramite le donazioni dei sostenitori, "risulta impiegato per l’organizzazione delle edizioni annuali della Leopolda", argomenta il giudice. "Eventi - si legge ancora - che per quanto partecipati da Matteo Renzi o dalla ‘corrente renziana’ non possono identificarsi tout court con la sua persona, né tantomeno ritenersi estranei all’attività propria di una fondazione politica". Richiamando ancora la sentenza della Cassazione che aveva, nel corso delle indagini, annullato i sequestri, il giudice scrive che "le spese sostenute per tali eventi ‘costituiscono pur sempre esborsi strumentali all’esercizio di attività politica’ e il distinguo tra perseguimento di uno scopo politico e di uno scopo partitico appare privo di qualsiasi fondamento".
Nell’ambito del procedimento, che contemplava anche contestazioni di emissione di fatture false, corruzione, traffico illecito di influenze e autoriciclaggio, sono stati assolti anche il manager e collaboratore della fondazione Patrizio Donnini Gallo, gli imprenditori Alfonso Toto, Riccardo Maestrelli, Pietro Di Lorenzo, l’ex vice presidente di Bat Italia Gianluca Ansalone, e l’ex responsabile relazioni esterne Giovanni Carucci.
Le motivazioni del gup sono state lette e commentate positivamente dai difensori, tra cui Nino D’Avirro e Alberto Berardi, legali di Bianchi. Anche se adesso l’attenzione si sposta sulla procura. In udienza, nonostante le decisioni di Consulta e Cassazione, l’accusa aveva insistito nella richiesta di rinvio a giudizio per tutti. Dei due sostenitori dell’accusa, è rimasto in servizio soltanto il pm Antonino Nastasi in quanto il collega Luca Turco è andato in pensione. Fra 45 giorni ne sapremo di più.