Firenze, 26 febbraio 2018 - E’ un mistero brutto. Il primo piano della caserma Fadini, dove intorno alle 16,30 è avvenuta un'esplosione terribile che ha provocato la morte di Giovanni Politi, 52 anni sovrintendente capo della polizia ed esperto artificiere, è zona off-limits. Sono stati cacciati tutti. All’interno è rimasto solo il capo dell’antiterrorismo ed alcuni tecnici esperti esplosivisti dei Vigili del fuoco. Non esiste il consueto report del 115 di via La Farina, né quello del 118. Perché? Quale può essere il segreto inconfessabile? L’unico commento che esce dal palazzo della questura è laconico: «Non è stato un attentato». Questo basta? Certamente no perché, li a terra, carbonizzato e irriconoscibile, c’è il corpo dell’artificiere da poco smontato dal turno alla stadio dove assieme al collega, S.G., aveva compiuto le operazioni di bonifica.
Esplosione in questura, le drammatiche immagini dell'intervento dei vigili del fuoco.Video
Quella stanza dove è avvenuta l’esplosione è una sorta di spogliatoio del personale, spesso usato dagli esplosivisti. Cosa è successo in quei pochi metri quadri dal soffitto alto e le mura spesse? Due le ipotesi e una domanda. Qualcosa ha innescato lo scoppio di materiale esplodente che gli esperti potevano aver sequestrato nel corso del loro lavoro, innesco che poi ha provocato un incendio ad alte temperature. Già perché negli ordigni sequestrati spesso è presente il micidiale mercurio. Oppure, alla rovescia, è stato un incendio, magari provocato da un corto circuito, a innescare l’esplosione di materiale sotto sequestro. In entrambe le ipotesi però la domanda è sempre la stessa: cosa ci faceva l’esplosivo in una specie di guardaroba? Lo schianto comunque è stato devastante. Il calore ha fatto esplodere anche tutti i colpi del caricatore dell’arma in dotazione al povero sovrintendente deceduto. E questo spiega gli scoppi provenienti dalla stanza che sono stati uditi e registrati nei filmati che troverete nel nostro sito. La lingua di fiamme rosso vivo che usciva dal palazzo faceva paura e il fumo nero, denso, ha costretto i pompieri a un intervento particolarmente difficile. Paura fra i passanti e le famiglie che abitano nella zona. Molti sono scesi in strada per capire cosa stesse accadendo: «Abbiamo sentito le esplosioni, sembrava un inferno». Tutto questo mentre l’onda d’urto faceva svellere la grata del finestrone al primo piano della caserma e mandava in frantumi vetrate e infissi in legno ‘sparati’ a diversi metri di distanza, sulla strada e sulle auto in sosta. Due i timori della prima ora. Che il fuoco avesse aggredito l’armeria all’interno della caserma Fadini, anche se da un altro lato. Non era vero: l’armeria non ha (diciamo non avrebbe fino a conferma ufficiale) mai corso rischi. La seconda paura era che nel rogo potesse essere stato coinvolto anche S.G., cinquantenne e collega artificiere. Si scoprirà poi che lui si era già cambiato e da una ventina di minuti era partito per tornare a casa.