Firenze, 24 ottobre 2023 - A cinquantacinque anni di distanza dal primo delitto, a 38 dall’ultimo: i misteri del mostro di Firenze, ora, sono arrivati a un bivio. Chiudere l’ultimo fascicolo, lo stralcio che era stato aperto per la presunta manomissione della cartuccia Winchester rinvenuta nell’orto di Pietro Pacciani, a Mercatale Val di Pesa, più di trent’anni fa, oppure indagare ancora. La decisione è nelle mani del gup, Anna Liguori, che domani dovrà decidere sull’opposizione all’archiviazione proposta dall’avvocato Vieri Adriani, legale dei parenti delle vittime del duplice omicidio di Scopeti, settembre 1985. A chiedere ai pm fiorentini di non fermarsi, arriverà dalla Francia anche Anne Lanciotti, una delle due figlie di Nadine Mauriot: stamani, alle 11, in una conferenza stampa che si terrà presso la sede del nostro giornale, incontrerà per la prima volta la stampa italiana.
Era una bambina quando i colpi della calibro 22 trucidarono sua madre e il fidanzato Jean Michel Kraveichvili. La coppia si era accampata con una canadese ai margini di San Casciano, il paese che fu anche quello dei compagni di merende Mario Vanni e Giancarlo Lotti, e del “mostro“ Pacciani.
Ma al di là dei verdetti, resta un buco su almeno tre delitti, quello del 1974 a Sagginale e i due del 1981, Mosciano (giugno) e Calenzano (ottobre): esclusa, in questi episo di, la presenza di Vanni e Lotti, non è accertata in maniera definitiva neanche quella di Pacciani, visto che la morte del contadino di Mercatale è arrivata prima di un processo d’appello da rifare. Che siano sentenze parziali, incomplete o sbagliate, cambia poco: la verità giudiziaria raggiunta sull’intricato caso del mostro di Firenze non soddisfa nessuno.
Adriani è anche il legale che con un esposto ha consegnato l’ultimo indagato alla storia degli otto duplici omicidi, l’ex legionario di Prato Giampiero Vigilanti. La posizione di Vigilanti, archiviata nel novembre del 2020 ("frettolosamente", come scrive l’avvocato in una memoria aggiuntiva consegnata al gip in vista dell’udienza di domani) è oggetto di un’altra richiesta di riapertura delle indagini.
Al momento rimasta senza risposta. Ma se il giudice disponesse ulteriori approfondimenti, come auspica la parte civile, il fascicolo del legionario potrebbe essere acquisito.
E da lì, suggerisce ancora Adriani, potrebbero essere approfondite questioni rimaste in sospeso.
"Anche senza scomodare i servizi segreti deviati - dice l’avvocato dei francesi - partendo dal dato oggettivo che il signor Vigilanti percepiva, almeno fino a quando era indagato, una pensione dallo Stato, pur avendo lavorato solo per sette anni, in tutta la sua vita, e per un’impresa di pompe funebri, non sarebbe stato fuori luogo andare alla ricerca, fra le carte, ufficiali e non, riguardanti i suoi ambienti ’preferiti’, cioè di destra, delle figure di apparato, uomini posti in posizione ’chiave’ che avrebbero potuto coprirlo, o perché suoi ’amici’ o perché da lui ’ricattati’ su scomode verità, non certo perché lo avessero diretto dall’alto nella commissione di crimini in danno di coppie, come si è tentato di attribuire a questa difesa".
L’elemento più roboante emerso, anche se a distanza di oltre 40 anni, dalle indagini sul l’ex legionario pratese è l’appunto su di lui redatto da un agente del Sisde - i servizi segreti civili - nel novembre del 1985.
In quelle paginette, battute a macchine, che erano state infilate nel fascicolo personale aperto dalla Sam (la squadra Anti mostro) nei confronti del pratese nato a Vicchio nel 1930, Vigilanti viene descritto come "uomo da combattimento, addestrato al tiro e alla lotta. che si allena al poligono con una Beretta della serie 70".
Quell’appunto era firmato M.M., sigla di un agente del Sisde dell’epoca che risulta tutt’ora in vita e che Adriani auspica venga sentito "per chiedere a questo ufficiale come fosse venuto in possesso di tali informazioni".
Con la costituzione di un minipool, tutto al femminile, composto dalle pm Ornella Galeotti e Beatrice Giunti, verso cui vengono confluite tutte le istanze sulla materia, si respira aria di apertura a tutte le possibili iniziative che possano contribuire ad aggiungere elementi all’enigma.
Ma contro certi scogli, anche le buone intenzioni rischiano di naufragare.
Non si trovano più, ad esempio, molti reperti. Non è mai saltato fuori il calco dell’impronta di anfibio rinvenuta nei pressi della Golf di Stefano Baldi, ucciso con la fidanzata Susanna Cambi a Travalle. Non v’è traccia di immagini di un’altra orma di stivale “militare“ impressa sul terreno della piazzola di Scopeti, vicino alla macchia dove il killer gettò il corpo di Kraveichvili.
Nemmeno i 17 scatti della macchina fotografica Nikon della coppia francese di cui i legali avevano ufficialmente chiesto la restituzione sono sbucati dai magazzini dei corpi di reato. "Ci è stato risposto che essi sono spariti proprio, come tutti gli altri reperti contestualmente richiesti", segnala amaramente al giudice Adriani. Che aggiunge: "Non si comprende allora, come possa adottarsi una decisione sulla presente richiesta di archiviazione senza conoscere l’esito definitivo di quella precedente richiesta di restituzione".
E tra i tanti fronti di possibile approfondimento, c’è anche l’enigma nell’enigma: il collegamento che nel 1982 (dopo il delitto di Baccaiano) venne fatto con il precedente del 1968. ei bossoli ritrovati nel faldone del processo a Stefano Mele (il marito della vittima Barbara Locci, uccisa a Signa con il suo amante Antonio Lo Bianco) associarono quel duplicio omicidio ai successivi e nacque così la pista sarda. Ma sul fortunato ritrovamento dei bossoli (serie H) nel fascicolo, Adriani nutre dei dubbi. La soluzione potrebbe essere quella di cercare le ogive di quei proiettili che potrebbero essere conservate tra le spoglie del Lo Bianco. Il Comune di Lastra a Signa, a cui il legale si è rivolto, ha detto no alla riesumazione. Forse non potrebbe dire di no alla procura.