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Università, prof arrestati, le intercettazioni: "Non c'è merito, qui ognuno ha i suoi"

Il caso che scuote gli atenei italiani. Ecco cosa hanno captato gli investigatori

Un concorso pubblico (foto PasqualeBove)

Un concorso pubblico (foto PasqualeBove)

Firenze, 25 settembre 2017 - "Qui non c'è nessun merito, ognuno ha i suoi". Questa una delle frasi che sarebbe stata captata dalle intercettazioni nel caso dell'inchiesta su un presunto giro di corruzione all'università. Giro che avrebbe portato i professori di diritto tributario di varie università a pilotare le abilitazioni per i ricercatori. Secondo le accuse, entrava insomma solo chi loro volevano.

Entravano i fedelissimi. Tanto che alcuni professori avrebbero chiaramente detto a ricercatori più titolati: "Non è che non sei idoneo, non rientri nel patto". Questo emerge dal copioso faldone delle intercettazioni. Il patto era quello che proprio i professori avrebbero segretamente stipulato per inserire nello staff solo le persone gradite. 

«Non sei nella lista», afferma il professore dell'università di Firenze a un ricercatore durante il colloquio, invitando il ragazzo a ritirare la candidatura e spiegandogli che non sarebbe stato comunque scelto. «Non siamo sul piano del merito - spiega -, ognuno ha portato i suoi». Il docente accusa poi il ricercatore di non rispettare «il vile commercio dei posti».

Dalle indagini emerge che l'esito dei concorsi sarebbe stato regolato "da una mera logica di spartizione territoriale": il commissario riceveva l'ok all'abilitazione del proprio protetto - di solito un allievo o associato del proprio studio professionale - solo promuovendo i candidati sponsorizzati dagli altri.

«Smetti di fare l'inglese e fai l'italiano», «tu non puoi non accettare», e «che fai? fai ricorso? ... però ti giochi la carriera così...»: queste alcune frasi registrate col telefono cellulare in un colloquio da un candidato all'abilitazione alla docenza di diritto tributario cui era stato chiesto di ritirarsi da un concorso e che invece non rinunciò.

Il candidato, che allegò le conversazioni da lui registrate alla denuncia alla guardia di finanza, sembra si sia sentito rispondere in questo modo dal professor Pasquale Russo, luminare tributarista, già ordinario all'ateneo di Firenze, anche lui indagato nella stessa inchiesta. Laroma era andato a chiedere spiegazioni a Russo sul perché si dovesse ritirare e a favore di chi, scoprendo che nella lista c'era un associato dello studio di Russo, Francesco Padovani. «C'è una priorità che veniva da... tante cose», spiegò Russo a Laroma e quindi «la scuola», ossia la cerchia di allievi di Russo, aveva «deciso di portare avanti Francesco».

Alle insistenze di Laroma di non voler ritirare la domanda, il professor Russo gli spiega che ciò serve «per mantenerti integra la possibilità di farlo in un secondo momento, e quindi poter ripresentarla alla tornata successiva. Laroma invece segnalò al professore che »se loro (le commissioni giudicatrici, ndr) gestiscono la cosa pubblica in questa maniera.. penso che sia una cosa che interessi l'autorità giudiziaria«. E anche così il ricercatore si determinò a fare denuncia alle Fiamme Gialle.