
Il fotografo espone i suoi scatti nell’ex bunker antiaereo con ’Il primato dell’informale’. Il curatore Natali: "Così esaltiamo l’astrazione dei capolavori del Buonarroti".
Ha accarezzato le opere di Michelangelo soffermandosi su ogni dettaglio, lasciando che fosse la luce a svelare colpi di scalpello più violenti o delicati, magari nascosti nelle pieghe di un manto o dietro all’attaccatura dei capelli. Aurelio Amendola (nella foto), fotografo pistoiese di caratura internazionale, da tanti anni restituisce in maniera bidimensionale la tridimensionalità dei marmi del Buonarroti. E a ogni scatto ci racconta qualcosa di nuovo di quei capolavori celebri: dalle tombe nelle Cappelle Medicee, ai Prigioni, alla Pietà Bandini, al David.
Nell’anno in cui si celebrano i 550 anni dalla nascita di Michelangelo, non poteva mancare l’omaggio di Amendola, che arriva attraverso la galleria Rifugio Digitale e lo storico dell’arte Antonio Natali.
Qualche mese fa infatti il grande fotografo aveva accettato di superare in qualche modo la sua pratica consolidata della stampa su carta delle sue immagini, per raccogliere la sfida del medium contemporaneo per eccellenza, il digitale, esponendo i suoi scatti dedicati a Michelangelo sugli schermi di Rifugio Digitale. Adesso, dopo la mostra arriva anche un volume di quelle foto, scelte da Amendola insieme all’ex direttore degli Uffizi Antonio Natali.
‘Aurelio Amendola per Michelangelo. Il primato dell’informale’, è il titolo della pubblicazione con le immagini esposte nell’ex bunker antiaereo, costruito a Firenze durante la Seconda guerra mondiale. "La mostra e il libro prendono spunto dall’esposizione di Amendona al museo dell’Opera del Duomo dopo il restauro della Pietà Bandini – spiega Antonio Natali, curatore della mostra e del volume –. Ma qui, attraverso gli scatti selezionati, abbiamo potuto esaudire il desiderio di mettere in evidenza gli aspetti più informali di Michelangelo, evidenziando la potenza della materia e le sue forme più astratte. Per questo abbiamo lavorato sui ’tagli’ delle foto, evidenziando quell’idea di non finito che conosciamo di Michelangelo, col desiderio di tirare fuori dal marmo ciò che l’artista non ha voluto scolpire". Ecco allora emergere dai bianchi e dai neri di Amendola qualcosa di completamente diverso rispetto all’iconografia canonica alla quale siamo abituati.
Ci viene presentato infatti un Michelangelo aniconico: "Anche quando fotografa sculture intere, Aurelio predilige tagli che ne esaltino l’astrazione - continua Natali –. Guardo la sagoma dell’Aurora, con quel profilo sfuggente da Brâncuși, oppure, ancora, la Pietà Rondanini, che è di suo scultura informale e su cui Aurelio, di nuovo con duri sbattimenti di luce e d’ombra, incrudelisce, vieppiù snervando le membra afflitte di Madre e Figlio".