LUCA SCARLINI
Cronaca

Incontro col mare. Viaggio fra Torino e Genova a contatto con la natura. Dove la prosa diventa magia

Sergio Solmi il 28 febbraio 1933 scrisse su "La Nazione" la testimonianza della sua giornata. Una lunga e profonda riflessione sul paesaggio che cambia, chilometro dopo chilometro .

Sergio Solmi, nome di battaglia Mario Rossetti, critico letterario, poeta, avvocato e partigiano

Sergio Solmi, nome di battaglia Mario Rossetti, critico letterario, poeta, avvocato e partigiano

Scendendo col treno alle prime case di Genova, dove nell’inverno ombreggiano i cortili grandi alberi scuri, che il vento salso e gelato tinge d’un vecchio color di ruggine, il mare invisibile già manda i suoi primi soffi pungenti, riflette nel cielo la sua grande luce. Mi piace sorprendere questo momento, passaggio dalla solida altura alpestre, quando le le forme, prerise e definite per essenza, che solo i giochi del sole e dell’ombra variano dall’alba alla sera, si sciolgono a poco a poco nell’aria fatta pesante e odorosa, scendono come incerte al nobile elemento che le lambisce addormentato. Anche le piante, i pini marittimi dalle molte braccia, gli olivi pallidi e contorti, al vento della sera sembrano assumere una debole vita, nostalgia forse della grande esistenza primeva che originò il loro sonno vegetale. E i muriccioli delle strade fuori mano, morsi e fatti porosi dal salino, trascolorano in delicatissime sfumature, dal paonazzo al roseo che è quasi bianco.

Questo ebbene è il mare, il suo respiro perpetuamente riprincipiato, la sua splendente indifferenza generatrice. E che altro vogliono dire queste pietre variegate e liscie delle rive, queste e normi fioriture che traboccano dalle cancellate di giardini a colmare la loro breve stagione? Anche la vita dell’uomo qui è una sfida prodigiosa e inutile. Le case sono costruite sul tufo franoso, e l’aria in poco tempo ne screpola gl’intonaci e ne denuda l’ossatura grigia. Il segreto del mare è probabilmente come l’azzurro diffuso nella sua acqua, che, se l’accogli nel cavo della mano, si fa tranquillità e incolore.

Avvicinandoci alle spiagge, quel suo fiato supremamente vivo e denso d’odori cancella in breve tutti i nostri pensieri. Di fronte all’infinita distesa, che sul mezzogiorno s’accende di mille fuochi, la meditazione ben presto ne è come nauseata. Qui dove l’estrema mobilità si fa immobile, e il fragore della risacca tocca il silenzio quale pensiero può mai sussistere, se natura del pensiero è di appoggiarsi ai confronti e alle differenze, infine ad un mondo fatto di esseri e di cose distinte? Ne nasceranno forme vaghe e appena abbozzate, mostri incerti come sono gli organismi sepolti nelle sue grandi profondità. No, inutile stare a riflettere di fronte al mare, sotto pena di smarrirci inevitabilmente nell’intrico delle nostre vuote immaginazioni.

Qui il solo atteggiamento possibile è l’azione, come ci insegnano le grandi alberature dondolanti sulla superficie oleosa dei porti, il fischio delle sirene dei transatlantici. Se non avessero osato, probabilmente questi popoli avrebbero ceduto alle lusinghe del sonno, cui sembra indurre senza rimedio il rauto e monotono respiro delle onde sul le rive: invece, affidandosi all’oscillante pianura che ne contornava le sponde, ingegnosamente approfittando della direzione dei venti e delle correnti marine, essi apersero un varco, formarono in virtù d’una perpetua capacità d’invenzione e d’arti un’immagine umana di queste forze disumane e incomprensibili.

A noi, gente di terra, non rimane che il tuono, e una specie di vuoto stupore. Con questo stupore seguo il mobile al limite dell’onda, i tranquilli meandri dove s’ammassa l’alga morta, le scogliere. Fra le due realtà che sembrano irreducibilmente opporsi, e il fragoroso corruccio del mare. L’anima coglie una rispondenza, una unità prima velata. La distesa liquideforme, nella sua mutevolezza proteica, ha bene un aspetto stabile non cangiante, dove la diversità s’annulla nel suo stesso riprodursi interminabile.

Lo scintillio delle acque a perdita d’occhio tiene qualcosa del minerale, del micàceo, non attraverso le sue epoche millenarie come nel giro giro d’un anno. La sabbia a poco a poco, mare grigio, ricopre le vegetazioni, l’erba seppellisce le città distrutte, la roccia corposa dall’aria cade in polvere. Tutte le cose le cose sono clessidre che ci misurano diversamente l’identico tempo: questo è per noi uomini l’unico significato delle cose. Contrariamente all’affermazione di Protagora, sono esse la nostra misura.