REDAZIONE FIRENZE

Indagine sul piano di emergenza del deposito Eni di Calenzano: possibili sottovalutazioni

Carabinieri acquisiscono il piano di emergenza del deposito Eni di Calenzano per verificare possibili sottovalutazioni dei rischi.

Le 39 pagine sono state acquisite ieri dai carabinieri del nucleo investigativo di Firenze che hanno fatto il loro ingresso negli uffici della Prefettura. Con un obiettivo: avere tra le mani il ‘piano di emergenza esterna’ del deposito Eni di Calenzano. Si tratta del piano di protezione civile che organizza, con procedure condivise con le altre amministrazioni pubbliche e private, il da farsi per scongiurare in caso di incidenti, conseguenze esterne al perimetro dell’area industriale. Ognuno dei 917 stabilimenti considerati a rischio di incidente rilevante in Italia ne ha uno. Incluso Calenzano. Ed è compito delle prefetture, in questo caso quella fiorentina, redigerne uno per capire come gestire e prevedere le conseguenze fuori dal perimetro dello stabilimento.

La sua redazione spetta sì al gruppo di lavoro di ingegneri delegati dalla Prefettura che però lo mettono nero su bianco sulla base delle informazioni fornite dal gestore dell’impianto, in questo caso Eni, come previsto dalla direttiva Seveso. L’approvazione arriva dopo il nulla osta di Regione, Comune (in questo caso Calenzano) e il parere del comitato tecnico regionale. Il piano acquisito ieri dalla procura tramite i carabinieri è stato emesso il 26 ottobre del 2021 e rappresenta l’aggiornamento della versione precedente realizzata il 29 dicembre 2016. Mentre l’aggiornamento, in media, avviene ogni tre anni o ogni volta ci siano integrazioni degne di nota fornite dal gestore dell’impianto.

Gli inquirenti adesso lo passeranno al setaccio per capire se le indicazioni sui possibili effetti di un incidente fossero sottostimate o meno. Concentrandosi in particolare su un aspetto, la cosiddetta ‘zona gialla’, quella definita di attenzione. Cioè? L’area di danno dove si verificano lesioni a persone giudicate reversibili: danni non gravi anche per soggetti particolarmente vulnerabili. Questa’area, nel piano, è indicata in un raggio di circa 200 metri dal punto di rilascio, cioè quello dell’esplosione.

Ma i fatti dimostrano che i danni, in realtà, si sono verificati anche oltre questo raggio di riferimento dalla pensilina di carico del deposito. Tra questi ci sono la rottura di vetri, controsoffitti e infissi alle aziende circostanti. Ma anche ferite alle persone. C’è stata una sottovalutazione nella stesura? Oppure le informazioni fornite dal gestore erano sottostimate? Sarà compito degli inquirenti rispondere a questa domanda o escludere entrambe le ipotesi. Saranno passate in rassegna anche e altre due zone di riferimento, la ‘rossa’ quella cioè di sicuro impatto giudicata letale e la ‘arancione’, che prevede lesioni irreversibili solo per le persone, a circa 130 metri dall’esplosione.

Nel frattempo ad essere acquisiti sono stati anche gli statini e gli ordini di servizio dei dipendenti del deposito Eni per avere l’esatta mappa di chi doveva essere al suo posto e fare cosa al momento dell’esplosione. Nel materiale che gli inquirenti puntano ad avere tra le mani ci sono anche le istruzioni operative interne al deposito Eni: la Bibbia cioè che mette nero su bianco la procedura da seguire per i dipendenti del deposito e gli autotrasportatori durante le operazioni di carico. E dove sta scritto se le operazioni dovessero essere automatizzate o se l’iter prevedesse l’assistenza fisica o remota da parte degli operatori Eni.