Indagini e nuove piste. Quella sete di verità a 40 anni dai processi

Dai tentativi di revisione della condanna alla ricerca di ipotesi alternative. Ecco chi ancora scava oltre Pacciani e i compagni di merende.

Indagini e nuove piste. Quella sete di verità a 40 anni dai processi

Pietro Pacciani, il presunto mostro morto nel 1998 in un limbo giudiziario

di Stefano Brogioni

FIRENZE

Piste e teorie, ricostruzioni alternative, "verità" da smantellare o da perfezionare. Sono passati esattamente trent’anni dalla condanna in primo grado di Pietro Pacciani, pronunciata dalla corte d’assise alle otto di sera del primo novembre del 1994, ma nella storia dei delitti del mostro di Firenze c’è ancora tanta fame di sapere. A stimolare ancora oggi l’appetito di chi indaga o vuole fare indagare contribuisce innanzitutto una storia processuale contorta, in cui Pacciani muore sospeso tra 14 ergastoli e un’assoluzione in appello annullata dalla Cassazione, ma verrà indirettamente condannato nei processi ai suoi complici, i famigerati compagni di merende Mario Vanni e Giancarlo Lotti. Ma se per il teorema della procura, almeno quello iniziale, Pacciani era il killer delle otto coppie trucidate tra il 1968 e il 1985 (la corte d’assise ha ritenuto però che il primo della serie, a Signa, resti un delitto maturato nell’ambiente dei sardi a cui appartenevano la vittima, Barbara Locci, e il marito tradito Stefano Mele, l’unico condannato), resta da capire perché i complici del contadino di Mercatale siano entrati in scena solo nel 1982, come stabilito da sentenze passate in giudicato che oggi un pool di avvocati e consulenti tentano di ribaltare.

Paolo Vanni, il nipote del postino di San Casciano condannato all’ergastolo, vuole riabilitare lo zio, morto nel 2009. L’obiettivo dei suoi legali, gli avvocati Valter Biscotti e Antonio Mazzeo, è quello di convincere i giudici di Genova ad accogliere una richiesta di revisione non ancora depositata. Puntando sulla scienza applicata in particolare all’ultimo delitto, e probabilmente il più controverso: quello di Scopeti. Hanno recentemente ripetuto un esperimento sulla piazzola in cui lunedì 9 settembre 1985 vennero ritrovati i corpi di Nadine Mauriot e Jean Michel Kraveichvili, per dimostrare, grazie agli entomologi, gli studiosi della fauna cadaverica, che la notte dell’omicidio non fu la domenica (come raccontato dal “pentito“ Lotti), bensì una precedente. Ma siccome una richiesta di revisione basata sulle larve era già stata rigettata in passato, i due legali sperano di poter calare un asso con una perizia di un esperto di tessuti che potrebbe anch’essa contestare la versione di Lotti circa la modalità di taglio della tonda. Lunedì, in procura, il superperito ha esaminato lo squarcio. E anche la sua altezza, altro dettaglio da riscontrare con la confessione di ’Katanga’. E’ la prima volta, in questa storia lunga e intricata, che una parte che non sia l’accusa maneggia direttamente un reperto.

Come chi cerca di ribaltare sentenze che ancora oggi fanno discutere, c’è anche chi è convinto che il vero mostro sia libero. Il detective Davide Cannella ha ottenuto la riesumazione del cadavere di Francesco Vinci, il primo “mostro“ finito in carcere nel 1982. Vinci morì carbonizzato undici anni dopo, scagionato nel frattempo da successivi delitti del serial killer mentre era detenuto, ma per Cannella quello bruciato nell’auto potrebbe non essere neppure lui: a breve potrebbe arrivare la risposta dal dna prelevato nella tomba.

Tra i cacciatori “professionisti“ c’è pure l’avvocato Vieri Adriani, che con il suo esposto in procura, presentato nel 2014 per conto delle famiglie dei francesi, ha dato il via all’inchiesta con quello che, probabilmente, sarà l’ultimo indagato dell’inchiesta infinita del mostro: l’ex legionario di Prato Giampiero Vigilanti, morto alcuni mesi fa dopo che la sua posizione era stata archiviata. Ma l’attività di ricerca ferve (anche sul web) e potrebbero giungere nuove istanze alla procura. Ma anche querele per ipotesi e accostamenti arditi.