ALESSANDRO PISTOLESI
Cronaca

Insieme a Rubel in auto: "Dalle torture al mare. Un incubo arrivare qui"

Sotto braccio un quaderno per seguire le lezioni di italiano a Firenzuola. Trema per il freddo aspettando un passaggio: "Ma sono sereno" .

Il centro di accoglienza straordinaria di San Pellegrino, piccola frazione di Firenzuola dove gli abitanti sono in ’minoranza’ rispetto agli ospiti della struttura (FotocronacheGermogli)

Il centro di accoglienza straordinaria di San Pellegrino, piccola frazione di Firenzuola dove gli abitanti sono in ’minoranza’ rispetto agli ospiti della struttura (FotocronacheGermogli)

A bordo della strada un ragazzo trema. Ha le cuffiette negli orecchi, sotto braccio tiene un quadernino spiegazzato, ha l’aria spaesata ma fiduciosa. Attende un passaggio che gli eviterebbe un’ora e un quarto di cammino: il tempo necessario a raggiungere, a piedi, il centro di accoglienza straordinaria di San Pellegrino. Si chiama Rubel e ha 33 anni: di strada ne ha già fatta tanta, troppa.

"Dai, monta su". Accetta senza esitare nemmeno un attimo. Anche perché il giacchetto della tuta che indossa sopra al maglioncino non basta a difendersi da un vento che nonostante il sole tiepido di metà mattina resta gelido e penetrante. Rubel sale in macchina e si racconta. Mastica a fatica l’inglese, conosce pochissime parole d’Italiano. E per comunicare usa Google Translate: "Arrivo dal Bangladesh, da quando il governo è cambiato mi sono sentito in pericolo".

La voce robotica del cellulare non smorza nemmeno un po’ un racconto pieno di trasporto e sentimento: "In Bangladesh ho lasciato la mia famiglia, vendere la casa era l’unica speranza per un futuro migliore". Così Rubel arriva in Libia: "Era l’unico modo per avere un passaggio per l’Italia". E qui lo sguardo di Rubel si ferma. "In Libia sono stato torturato". Google Translate traduce l’orrore vissuto da Rubel in due sole parole: "Mafia libica". Nient’altro. Ma alla fine Rubel sale su quel barcone e insieme a tanti altri migranti affronta il viaggio della speranza, ma anche della morte. Il confine è sottile e tremendo. Dalla Libia fino a Lampedusa. In Italia Rubel ritrova il sereno.

Da Firenzuola a San Pellegrino servono sette minuti di macchina. Il tempo è finito. Rubel scende come una scheggia e ringrazia, raggiante. Aggiunge solo che la mattina frequenta lezioni di italiano, a questo serve il quaderno. Si appunta le nuove parole, ma sono poche quelle che è riuscito a memorizzare. A San Pellegrino è arrivato solo un mese fa. Non conosce le dinamiche della struttura, non sa dire se la convivenza con i residenti sia complicata. Dice solo: "Italia good". Restare qui è il suo desiderio. Mentre si allontana il suo racconto morde ancora lo stomaco. Poi in un lampo entra nella struttura. Non trema più.

Altri ospiti vengono in contro dal cortile sul retro. "Giornalisti?". "Sì". Ma non si nascondono, hanno voglia di parlare, di raccontarsi, nonostante le barriere linguistiche. Anche in questo caso Google Translate viene in aiuto. "Siamo qui da tre mesi e stiamo ancora aspettando dei vestiti, abbiamo sempre gli stessi", lamenta uno di loro con le infradito. "In quanti siamo? Circa un’ottantina, dormiamo in cinque per camera". Riferiscono che la direttrice non è in struttura al momento, chiediamo di un responsabile che arriva solo dopo un paio di minuti. "Ci ha sorpreso la decisione del consiglio comunale di voler chiudere il centro di accoglienza – ammette –. Sono arrivato qui solo da qualche settimana e devo dire che non ho trovato problemi particolari, mi è capitato di lavorare in strutture che erano in condizioni decisamente peggiori". Eppure la convivenza con la popolazione appare difficile e spigolosa. "Ma i residenti esagerano", si affretta a dire uno dei responsabili. "Cinque ospiti per stanza? Non è vero, massimo quattro".

Il cartello alle sue spalle non lascia spazio a interpretazioni: "Divieto di accesso alle persone non autorizzate". Poi arriva una telefonata, il messaggio è chiaro: non si può entrare, nessuno può rilasciare dichiarazioni. Anche il cancello sul retro viene sbarrato. Prima di andare via lanciamo un’occhiata verso l’alto, in direzione delle finestre: anche lo sguardo di Rubel si è dissolto.

Alessandro Pistolesi