La questione degli insulti razzisti è complessa e va ricondotta alla forma degenerativa di come alcuni vivono quella che dovrebbe essere una sana passione sportiva. Da lì la violenza fra tifosi, razzismo nei confronti degli atleti e quant’altro. Prendiamo il caso di Moise Kean: gli insulti e i messaggi sono arrivati dopo la partita vinta dall’Inter, con merito sia pure agevolata da un goal da annullare. Perché prendersela allora con tanta rabbia e accanimento con il centravanti della Fiorentina? Perché c’era da “punirlo“ per le due reti della partita precedente, dove al Franchi la Fiorentina ha “asfaltato“ l’Inter. Contro ogni pronostico, la “squadretta“ di provincia, con pochi giocatori a disposizione, si è permessa di affondare la corazzata dei campioni super retribuiti che sul terreno di gioco sembravano smarriti e incapaci di reagire al capolavoro tattico e agonistico messo in campo dai viola. Sì, David ha distrutto Golia. Buon per l’Inter che il Napoli è inciampato con l’Udinese (comunque fallito l’aggancio in vetta alla classifica). Altrimenti per colpa della squadretta viola divenuta quel giorno uno squadrone, i partenopei avrebbero preso il volo.
Si è covato, il che è grave, in certi pseudo-tifosi, un misto di paura e di ansia di vendetta. Dopo la partita di Milano quegli stati d’animo, trattenuti in seno per quattro giorni, sono esplosi nella voglia di far male, di colpire la squadra che si era permessa di mortificare l’Inter allo stadio di Firenze: traendo pretesto dal colore delle pelle. Ecco perché non basta parlare di “pochi imbecilli“. Al di là degli aspetti punitivi, quanto mai necessari, occorre un’opera educativa che parta dalle origini, fin dall’infanzia, nella scuola, nella famiglia, nelle prime attività sportive. Si gareggia, questo è importante, e giocando si vince e si perde, una gara dopo l’altra, in Italia o all’estero. E i milioni in palio, che stanno dietro ogni punto perduto o acquistato, devono passare in secondo piano. Rispettando il diritto ai tifosi veri di sognare, di sostenere, di gioire e di soffrire, per un agonismo però sano e pulito. Allora davvero gli imbecilli saranno sempre meno e battere sul campo una squadra blasonata non sarà più una “colpa“.