Vichi
Non mi ama più disse Isabelle entrando in casa mia con gli occhi addolorati, con il suo italiano dal forte accento francese. Mi aveva suonato il campanello all’ora di pranzo, mentre stavo mettendo l’acqua per la pasta. Dicendo queste parole melodrammatiche mi era passata davanti come un fantasma, poi era andata a sedersi al tavolo di cucina, afflosciata come uno straccio. Non le dissi nulla, aspettavo che fosse lei a parlare, a raccontarmi cosa fosse successo. A quei tempi abitavo a Parigi, e mi facevo spesso un bel piatto di pasta comme il faut. Sbirciavo Isabelle, che si guardava intorno un po’ smarrita, e intanto pensavo a come condire gli spaghetti, ovviamente italiani e comprati in Italia, così come il parmigiano e l’olio d’oliva. In Francia non sapevano nulla di pasta, avevo sentito cose da pazzi. C’era chi buttava gli spaghetti nell’acqua fredda e accendeva il fuoco, poi quando pensava che fossero cotti spegneva la fiamma e se aveva altro da fare li lasciava nell’acqua bollente, senza sapere che così facendo non cucinava pasta, ma colla per manifesti. Solo a pensare di mangiare quella roba mi veniva il voltastomaco. Per qualsiasi italiano da Trieste in giù, erano cose inconcepibili. Mentre Isabelle continuava a fissare il muro trapassandolo con lo sguardo, cominciai a mettere in piedi una salsa di pomodoro con quello che avevo trovato dall’arabo sotto casa. "Non mi ama più" mormorò lei di nuovo. Stava parlando del suo ragazzo italiano, un torinese che aveva conosciuto qualche mese prima in Messico, durante una vacanza. Non li avevo mai visti veramente bene insieme, anche se in queste cose è difficile capirci qualcosa. Però la sua frase non mi stupiva più di tanto. Il torinese era un ragazzo alto, abbastanza bello, che però si credeva bellissimo, e questo lo rendeva antipatico e addirittura brutto. Ma quelle cose non erano poi così importanti, il fatto è che per una come Isabelle mi sembrava piuttosto superficiale, mentre lei invece era una ragazza intelligente e sensibile. Misteri delle coppie, ma così è. Rimasi ancora in silenzio, per darle modo di mettere in ordine i pensieri e di spiegarmi come era arrivata alla conclusione che il torinese non la amava più, o quello che volesse significare. A un tratto lei si alzò in piedi, perché certe cose non si possono dire stando seduti, e si mise a camminare su e giù per la cucina. "L’ho chiamato poco fa, per fargli un saluto, visto che prima di una settimana non ci vedremo, e sai cosa mi ha detto, in fretta e furia? Devo scolare la pasta, ciao… E mi ha riattaccato in faccia" disse, allargando le braccia. Mi voltai verso di lei a bocca aperta. "Ah, è questo…" dissi, e scoppiai a ridere. Isabelle quasi si offese. "Che c’è da ridere?" "Dio mio, voi parigini questa cosa non la potete capire… Un italiano che sta per scolare la pasta riattacca il telefono anche a sua madre, anzi non ce n’è bisogno, perché se dice: sto per scolare la pasta, è sua madre a riattaccare all’istante. Trenta secondi in più nell’acqua e la pasta diventa immangiabile…" dissi, sempre sorridendo. Lei aveva seguito il mio discorso con grande attenzione. "Dici davvero?" mi chiese, un po’ incerta. "Dico davvero. Prova a chiamare qualsiasi italiano mentre sta per scolare la pasta e non riuscirai a parlarci… Potrebbe chiamarlo il Papa, e sarebbe la stessa cosa" confermai. Lei era molto meravigliata, come se le avessi detto che in Italia esistevano le banane diritte. "Questa non la sapevo" disse, e all’angolo della bocca le spuntò un sorriso. "Voi parigini non sapete niente della pasta, secondo me nessuno di voi ha mai mangiato una vera pasta italiana." "Dunque secondo te mi ama ancora?" A lei interessava questo. Adesso toccò a me allargare le braccia. "Non posso saperlo, ma se non ti ama più, non è certo perché ti ha riattaccato il telefono per via della pasta…" "Mi sento più tranquilla" disse Isabelle, e si rimise a sedere. "Ti fermi a pranzo? Così puoi vedere com’è un italiano che sta cucinando gli spaghetti e li potrai assaggiare." "No, la pasta non mi piace" disse lei, agitando una mano. "Quando l’hai mangiata?" "Varie volte, ma non mi piace proprio." "E chi te l’ha cucinata? Un italiano?" "No, qui a Parigi. "Ah, ecco… Ti faccio assaggiare una vera pasta italiana, magari cambi idea." "Non credo proprio" disse lei, che ormai si sentiva un po’ sollevata da quello che le avevo detto. "Fammi provare…" "Ok, ça va… Proviamo." "Bene." A quel punto cambiai ricetta: spaghetti burro e parmigiano, che sapevo fare molto bene.
1- continua