MICHELE BRANCALE
Cronaca

"Dov'è Dio nella città?". Incontro con Julián Carrón in Palazzo Vecchio

Salone dei Cinquecento gremito per un confronto a più voci con il successore di don Giussani alla guida di Cl

L'incontro con Julián Carrón in Palazzo Vecchio

Firenze, 12 novembre 2018 - I desideri abitano il cuore degli esseri umani e sono all'origine di tante passioni, anche di quelle inutili e distruttive. E tuttavia dagli anni Sessanta in poi del secolo scorso l'assimilazione dei desideri ai diritti ha creato, specialmente nel nord del mondo, una corsa all'affermazione individuale che diventa richiesta di escludere anche per vie legali tutto ciò che potrebbe “ferire” la propria sensibilità. La Rivoluzione francese proclamando “libertà, uguaglianza, fraternità” aveva per certi versi traghettato i valori cristiani ma dissociandoli dalla storia del vissuto cristiano in mezzo ai popoli.

Oggi l'esclusione del religioso, da codificare come un fatto tutt'al più privato proprio perché intimorisce la sua dimensione pubblica e corale, va di pari passo con una visione che si pone fuori dalla storia, anzi ha la pretesa che la storia cominci con se stessi e che quello che c'è prima e, per certi versi, anche quello che ci sarà dopo, non mi tocca, non mi responsabilizza. L'importante è innanzitutto che nulla mi “ferisca”.

Per cui se un grande romanzo, una tragedia, un'opera poetica può contrariare la mia sensibilità, magari perché ha riferimenti di fede, deve essere esclusa ad esempio dall'insegnamento pubblico. E' uno degli aspetti del “tempo della grande incertezza” che Julián Carrón, da dodici anni alla guida di Comunione e Liberazione, esplora in un dialogo con Andrea Tornielli, come scenario e occasione dei cristiani per annunciare il Vangelo.

'Dov'è Dio?', titolo del volume edito da Piemme, è stato anche l'occasione per un incontro a più voci promosso a Firenze, nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, con il sindaco Dario Nardella, Carrón, Tornielli, Olivier Roy, islamologo e docente dell’Istituto universitario europeo e moderato dal costituzionalista Andrea Simoncini.

C'è un grosso problema di “deculturazione” (pensiamo alla dissociazione tra politica e cultura) e Olivier Roy lo ha analizzato. Si scarta, anche culturalmente, quello che “può ferirmi” e si cerca di associarsi a chi fa sua questa stessa prerogativa. Se proviamo a decifrare il presente si deve prendere atto, come nota Roy, che il più delle volte “i tentativi di formare delle comunità di persone si basano non sull'apertura ma sulla chiusura”.

Nel tempo degli scarti, frutto amaro di un modello di sviluppo e di relazioni che Papa Francesco ha messo in discussione, “l'imprevisto disturba”, osserva Carrón, e si cerca disperatamente di non farsi disturbare. Il corollario è appunto quello di non volersi “lasciare ferire dall'altro”. Il punto è come porsi, da cristiani e da umanisti, davanti a questi scenari che rivelano un individualismo radicale che viene proposto come modello attraverso i canali mediatici che veicolano molte semplificazioni. Si potrebbe scegliere, come è stato fatto, una via normativa da opporre all'individualismo dei desideri.

Ma non basta. C'è la possibilità di una testimonianza di una fede vissuta non come un fatto privato e nemmeno come qualcosa di garantito normativamente, sia sul piano pubblico che privato. Questo da una parte dà fastidio. Certe reazioni a Papa Francesco, non solo fuori dalla chiesa, hanno origine nello scontro tra chi vuole vedere normato il proprio diritto a non essere disturbato, intralciato, e chi risponde volendo vedere garantita la fede per legge, come una minoranza garantita. Qui si colloca la tentazione dei muri, del confronto violento, della creazione di spazi che escludono gli altri.

Nel tempo della “grande incertezza” i cristiani hanno il problema della trasmissione della fede, come anche i musulmani verso la seconda generazione in Europa immersa in un vuoto che ha creato radicalizzazione. Andrea Tornielli registra come alcune tentativi di trasmettere la proposta cristiana difettino di lungimiranza: la comunicazione della Buona Notizia non passa attraverso una strategia di marketing o modalità normative. La Chiesa “non è una corporation di cui il Papa è l'amministratore delegato”. Rispetto a quella normativa (per Roy “una visione normativa dei legami sociali”), del marketing culturale o a quella del ritirarsi, c'è un'altra strada da seguire.

Questo tempo, osserva Carrón, rappresenta un'opportunità unica che non viene colta se si incrementano nuove norme di tutela che rivelano, di fatto, di non essere capaci di una proposta attraente: il diritto “non può sostituire la vita”. Vivere seguendo il Vangelo è invece dare una testimonianza che diventa eloquente e attrattiva e capace di portare a compimento, dare senso, a quel desiderio di vita che è nel cuore di ognuno.

Il Cristianesimo non può essere ridotto a una questione puramente astratta, intellettuale, o a moralismo perché – è il cuore del messaggio di don Luigi Giussani, fondatore di Cl - il Cristianesimo è innanzi tutto l'incontro con una persona, prima che con una dottrina. Si tratta piuttosto di costruire spazi in cui convivere con gli altri, senza nessuna costrizione e senza essere sopraffatti dalla dimensione della paura (uno degli aspetti più diffusi della “grande incertezza”). Così ciascuno potrà conoscere la proposta cristiana in modo personale con tempi che sono personali e non standard.

Che volto avranno le nostre città se invece di spazi aperti si svilupperanno spazi chiusi anche se negli Usa li chiamano “saved spaces”, spazi in cui di fatto non puoi essere criticato? Dario Nardella ha proposto, e non poteva essere altrimenti, il modello della sua città: “A Firenze il miracolo dell'umanesimo si sente nelle strade. I grandi artisti, da Masaccio a Michelangelo dipingono i santi, Maria, Cristo, quasi come figure familiari, reali. Si respira come la ricerca spirituale sia essenziale per la vita pubblica”. Un dibattito pubblico profondo, autentico, “non può fare a meno dell'incontro con la fede cristiana e con le altre fedi”. Una laicità che esclude la fede va poco lontano. La vita di La Pira “è tutt'altro astratta, la sua fede incontra la quotidianità, la concretezza, i problemi della casa, del lavoro, della pace”. Finemente Andrea Simoncini sottolinea come lo spazio pubblico, in quanto spazio di coesione, richiama in sé “religere”, cioè raccogliere, unire: lo spazio pubblico è inclusivo.