Firenze, 20 agosto 2023 - Dai telefonini sequestrati dalla polizia nelle scorse settimane, sono spuntati alcuni video. In uno di questi, Carlos Palomino De La Colina, il “proprietario“ dell’ex Astor (il “dueno“ come lo chiamavano gli altr i peruviani), compra una stanza dentro l’albergo di via Maragliano. Conta dodici banconote da 50 euro, mettendone una dopo l’altra nelle mani di una donna (probabilmente rumena) che incassa così 600 euro per cedere il proprio posto nell’occupazione.
Immagini analoghe ritraggono anche Abel Alvarez Vasquez, lo zio di Kata arrestato con Carlos il mese scorso con l’accusa di aver esercitato con la violenza il racket delle stanze, che, davanti alla rumena Lydia - altra “responsabile“, per conto della comunità rumena, della turbolenta occupazione terminata il 17 giugno scorso, una settimana dopo la scomparsa di Kata - compra pure lui una camera per la sua famiglia. Le immagini, che gli indagati conservavano come un contratto che certifica la loro “proprietà“, documentano quello che per l’avvocato Elisa Baldocci, difensore di Abel, Carlos e altri due peruviani accusati di estorsione e tentato omicidio (la notte del 28 maggio un ecuadoregno si gettò da una finestra al secondo piano per sfuggire a una spedizione punitiva), "non è un racket, bensì un’usanza consolidata dentro l’Astor: il commercio di camere. E coloro che sono accusati di praticare il racket, hanno a loro volta pagato per abitare lì".
Una situazione che forse è sfuggita di mano anche ai “promotori“ di quella occupazione, iniziata lo scorso settembre: il Movimento lotta per la Casa. Secondo alcune testimonianze finite nel fascicolo del pm Christine Von Borries, nessuno ha pagato niente per entrare dentro l’Astor nel momento dell’insediamento. Ma è un dato ormai assodato che ogni “titolare“ di una stanza ne abbia poi fatto mercato. Un mercato che comprende non soltanto la “vendita“ dell’alloggio, quotato secondo le caratteristiche della sistemazione (circa 800 euro per una camera senza bagno, 1200 per una con i servizi), ma pure il subaffitto, anche solo di un posto letto. Business, quest’ultimo, diffuso non soltanto in situazioni di illegalità come era l’Astor, ma anche tra i regolari del soggiorno e gli irregolari, dove i primi, capaci di stipulare contratti “veri“ con i proprietari, ospitano dietro lauta remunerazione chi invece, per la sua precarietà, non può permettersi un alloggio.