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La boxe come cura contro il Parkinson: "Noi unici in Italia"

L’associazione fiorentina sfrutta il pugilato per migliorare la qualità della vita dei malati

FIRENZE

Nonostante il periodo difficilissimo, c’è chi non smette mai di lavorare per gli altri, sopratutto per le persone più in difficoltà. Non si arresta, neanche in periodo di pandemia, il prezioso lavoro dell’associazione “Un gancio al Parkinson“. L’obbiettivo è semplice, cercare di rendere migliore la qualità della vita a persone affette da parkinson, sfruttando un metodo molto diffuso in USA, ovvero l’uso terapeutico della boxe."L’idea è nata oltre due anni fa, l’ho vista in America e l’ho voluta riportare a Firenze. Abbiamo creato un’associazione no profit e gradualmente abbiamo avuto sempre più pazienti, oggi ne contiamo oltre 70 – racconta il dottor Maurizio Bertoni, presidente dell’associazione –. La boxe è il tipo di attività motoria perfetta per i malati di parkinson, stiamo facendo anche ricerca, studiando i miglioramenti dei nostri pazienti.

I primi 15 hanno fatto dei grandi passi in avanti. Domenica 11 Aprile sarà la giornata internazionale del Parkinson, e concluderemo un nuovo studio con 30 pazienti. Siamo l’unica associazione in Italia a fare una cosa simile, e sempre più persone si stanno interessando. Abbiamo anche 5 ragazzi che stanno facendo con noi la tesi universitaria in scienze motorie". Jacopo Carocci è uno di questi ragazzi, e oltre a studiare il fenomeno, aiuta l’associaizone in prima linea, facendo l’istruttore per gli anziani malati.

"Faccio pugilato da oltre 10 anni, e questa iniziativa mi piace tantissimo, anche per poter dare visibilità positiva a questo sport. Grazie al professor Bertoni ho avuto modo di affacciarmi a questo mondo. Abbiamo anche degli strumenti unici in Italia, lavoriamo sulla neuroelasticità, cerchiamo di sfruttare tramite questi machinari dei giochi che aiutano queste persone. Vogliamo allenarli, ma il nostro obbiettivo è di ritportarli tramite la boxe a una vita più normale possibile. Sono rimasto molto sorpreso dal rapporto che si instaura con i malati, siamo davvero una famiglia – racconta Carocci –. Il primo elemento che dobbiamo mettere in campo, è che fungiamo più da psicologi che da istruttori, siamo il loro conforto e confronto, cercando di aiutarli il più possibile. Non tutti vivono bene la loro malattia, tante volte queste persone si sentono sole, e noi dobbiamo cercare di fargli da spalla".Con la pandemia, anche l’impegno dell’associazione ha avuto dei rallentamenti, che ha però saputo reiventarsi, organizzando le lezioni in diretta su Youtube.

Iacopo Nathan