"La chitarra mi ha cambiato la vita". L’ultima notte rosa di Umberto Tozzi

Stasera a Castiglioncello uno dei concerti del tour per l’addio alla scena live dopo 50 anni di carriera

"La chitarra mi ha cambiato la vita". L’ultima notte rosa di Umberto Tozzi

Il cantante e chitarrista torinese ha venduto 80 milioni di dischi

CASTIGLIONCELLO (Livorno)

"Non ho più Olimpiadi da vincere" ammette Umberto Tozzi godendosi la medaglia d’oro che porta da quarantasette anni, da quando “Ti amo” l’ha reso una star internazionale regalandogli una carriera da 80 milioni di dischi venduti che lo porta in concerto al Castello Pasquini di Castiglioncello stasera e Villa Bertelli al Forte domani. "Sono stato un ragazzo molto fortunato, che ha avuto tante e tali gratificazioni dalla professione e dalla vita da poter serenamente decidere un giorno di dire grazie e arrivederci". Insomma, ancora una notte (rosa). L’ultima.

Sulla locandina l’Umberto settantaduenne strappa la foto in bianco e nero di quello trentenne. Perché?

"Perché il passato è passato, c’è un bellissimo presente da vivere, tanto dal punto di vista autorale che live. Erano sette-otto anni, infatti, che non producevo nuova musica, ma ora ho pronto un nuovo progetto che spero di pubblicare in autunno e ne offro un assaggio in concerto, con un paio di inediti".

Reazione?

"Buona. Anche se il pubblico ancora non li canta, non ne conosce il testo".

Molti colleghi non se la sentono di mettere in strada un tour d’addio come il suo o quello di Baglioni perché poi non si può tornare indietro.

"Io sono felicissimo di aver fatto il grande passo. E me la godrò fino all’ultimo show con energia ed emozione. Visto il momentaccio passato (una neoplasia della vescica - ndr), ora mi interessa godere di ottima salute ed essere felice sul palco".

Quali sono stati i live che le hanno segnato la vita?

"Innanzitutto quello di Paul McCartney a Venezia nel ’76 poi ad una convention dei primi anni Ottanta a Los Angeles: ho avuto modo di veder esibirsi sullo stesso palco Barbra Streisand, Carlos Santana, Jeff Beck, Chicago e Keith Richards. Altra esibizione che m’è rimasta impressa nei ricordi è stata quella di Stevie Wonder nel 2010 allo Sporting di Montecarlo. Sempre a Montecarlo, dove abito, ho visto il grande Burt Bacharach con Dionne Warwick. Eccezionali".

Quando giocava con la Nazionale Cantanti i difensori avversari la marcavano duramente perché tanto scarso non era. E nella musica?

"Ho vissuto un momento di grande passione per il calcio da ragazzo, ma ho preso in mano la chitarra e la mia vita è cambiata. Quando, però, da ragazzo salivo i gradini che portavano al campo provavo lo stesso crampo allo stomaco che provo oggi salendo quelli del palco".

Nessun rimpianto per il rifiuto di papà Nicola a mandarla a fare il corso avanzato di calcio a Coverciano per cui era stato selezionato a 14 anni?

"No. Papà aveva fatto due guerre e pensava, giustamente, che tredici mensilità fossero già un grande risultato nella vita".

Le cito Tozzi: come pittore sono una pippa. Perché ha poca considerazione di sé stesso davanti alla tela?

"Perché ho iniziato a dipingere senza saper fare neppure una ‘o’ col bicchiere. Dipingo per passione, è un mondo che non conoscevo e che mi isola dal resto come mi capita solo quando sto al pianoforte".

Il guerriero di carta igienica, la donna che stira cantando, gli operai licenziati dai robot. C’è un testo che oggi non ricanterebbe?

"In tutte le canzoni e i testi che interpreto sul palco mi riconosco completamente. Guerriero di carta igienica incluso. Ma ce ne sono un mare fuori dalla scaletta, soprattutto della stagione anni Ottanta, che non faccio e non reinciderei".

Andrea Spinelli