LUCA
Cronaca

La fortuna di Menotti. Il compositore amato negli Usa ma osteggiato in Italia. Il melodramma vince sempre

Giuseppe Prezzolini scriveva per "La Nazione" lunghe corrispondenze dall’America. L’articolo del 30 ottobre 1961 racconta di una rappresentazione fortunata a New York.

Vedo Menotti di rado, ma da molti anni. Ogni tanto capita che ci si trovi a un concerto, a una conferenza, e l’altro giorno persino ad un pranzone ufficiale, con tanto di banda, di discorsi e di signore con corsage. In queste occasioni ci si guarda un po’ stupiti, e si scambia un sorriso. Che vuol dire molte cose, e qualche volta ci si dà un appuntamento per una chiacchierata da soli. Ho visto crescere la sua fama e vorrei dire che raramente ho conosciuto una vita di artista così convintamente condotta, nonostante tutte le facilità di corruzione commerciale cui avrebbe potuto cedere.

Ho conosciuto Gian Carlo Menotti fin dal tempo in cui era quasi un ragazzo, dette i suoi primi saggi di opera moderna in quel teatrino sperimentale che si trovava nella nostra Università. E l’ho visto crescere di fama e di successo, e ho sempre sentito parlare nello stesso modo dell’arte e della vita e di ciò che vale... I suoi amici non sono miei amici, e quando gentilmente m’invitò a sentire il “Console“, di cui davano un’audizione speciale, in una casa che prospettava l’East Side in un quartiere dove l’architettura è garrula, ma in quei palazzi nuovi si hanno viste bellissime e gli ascensori sono molto oliati. Mi sentii fuori di posto. Soltanto la musica mi rimise in equilibrio, perchè mi parve che rispondesse al tema, che era universale nei nostri giorni, e non di quella società.

Ho visto Menotti così ad intervalli, e una volta gli chiesi anche di parlare a un piccolo pubblico, dove disse cose coraggiose, soprattutto per uno che, a quel tempo, non aveva che un leggero e ristretto alone d’ammirazione, quasi locale. E cosi m’avveniva di saggiarlo a distanza di tempo, e l’ho sempre trovato quello di prima, sempre così direttamente preso dal problema dell’arte, così convinto e deciso nelle sue intenzioni, e così lontano dalle vanterie e dai calcoli che ho osservato in tanti, dotati di genio, magari più di lui. È semplice, è modesto. Ho visto crescere la sua fama in New York, e poi fuori e passare l’Oltreoceano e affermarsi soprattutto fra i giovani, ed in campi nuovi come recentemente il cinematografo.

Piaceva sempre la sua capacità di afferrare la vita nostra, che non è certo allegra né pura né calma e di darle espressione con mezzi altrettanto moderni. Una delle sue prime opere fu scritta per la radio, e fu una occasione notevole andare a vederla dare in un grande salone chiuso da vetri mentre altri la sentivano lontano da noi e non la vedevano. Il suo solo insuccesso. La fortuna di Menotti in America è stata completamente naturale. Non ci sono mescolate speculazioni di affaristi del teatro, ai quali riesce anzi imbarazzante e sorprendente; come imbarazzante e sorprendente per essi fu il fatto che quando offrirono al Menotti, unico autore dell’opera in America che abbia avuto un successo europeo, fantastiche possibilità in Broadway e in Hollywood, a patto che si tagliasse un po’ le ali e s’imbellettasse un pochino, si sentirono dire di no. I sostenitori finanziari di Menotti furono poche persone ricche, soprattutto di gusto, artisti essi stessi, e non dei faccendieri del teatro. E per mettere su il “Console“ dovettero ricorrere ad una specie di sottoscrizione. Chi fece vincere l’opera di Menotti fu il pubblico, che continuò a recarsi al teatro, sopratutto il pubblico dei giovani. Questa resistenza e il suo equilibrio, di fronte ad una fortuna inaspettata, Menotti le mostra anche quando parla del solo suo grosso insuccesso, quello della critica musicale italiana. Mi piaceva molto, l’altra sera, quando eravamo insieme per una di quelle nostre chiacchierate, che avvengono in tempi straordinariamente lontani, in una trattoria italiana che mi ricorda d’averci condotto Pirandello e il tempo delle sue illusioni americane.

Menotti mi narrava, con paziente esattezza, gli episodi di quella quasi unanime condanna e alcuni retroscena del cannibalismo, sconosciuto anche in America, dove pur gli interessi e le poste sono tanto più alte. E ne potemmo discutere quietamente, mentre io mi divertivo a sentire gli echi di un mondo lontano, che m’è stato così caro, e così straniero. (...)