"Non dimenticherò mai quei momenti. Ricordo in maniera fotografica quegli anni, li ricordo tutti, tra fascismo, dittatura, mancanza totale di libertà. A sette mesi hanno cominciato a portarmi in quella che era una sorta di mia seconda casa, le Murate di Firenze. E ci andai fino al 1944 perché anche in quell’anno mio babbo fu arrestato quando già c’era il Comitato di Liberazione Nazionale di cui era stato cofondatore a San Casciano". Sono passati 80 anni dalla Liberazione del Chianti dal fascismo e dai nazisti, ma Rosanna Tacci, 88 anni, figlia di Dante, antifascista, un sancascianese che di professione faceva il calzolaio, torturato, carcerato, condannato, perseguitato dal regime perché considerato un sovversivo, non si stanca mai di raccontare la sua infanzia rubata e la strada verso la libertà come se fosse accaduto ieri.
"Mio babbo – ricorda – era sempre in galera. Quando nel ’38 venne a Firenze Hitler, mia madre mi portò con sé al parlatorio alle Murate come si usava fare. Il mio ricordo è un tavolo lungo, mio babbo da una parte, mia madre ed io dalla parte opposta. Quando stavamo per andar via mio padre chiese a mia madre di porgermi tra le sue braccia per salutarmi. Un secondino cominciò ad urlare "quella bambina ha un’arma", così mi denudarono per vedere se avevo un’arma. I miei urli non ve li so raccontare, buttavano giù il carcere, mio padre che urlava ’lasciatela’, e queste mani che mi frugavano addosso, indumento per indumento. È stata una cosa vergognosa che solo il fascismo poteva fare così disumanamente, e da quella volta non volli più andare".
Rosanna Tacci ricorda anche quello che succedeva nella vita di tutti i giorni. "Al posto del buongiorno, a scuola, si doveva alzare la mano e dire ’viva il Duce’. Nella scuola e nei pubblici uffici c’era il cartello ’qui si saluta romanamente’. Alle 10 veniva accesa Radio Balilla. Bisognava essere sempre pronti a conoscere gli inni che ci insegnavano perché era stata introdotta una nuova materia, l’educazione fascista, le norme non si potevano discutere, ogni sabato occorreva avere la montura per partecipare al sabato fascista. Io non l’avevo, avevo il grembiule bianco e mi sentivo diversa. A me il fascismo ha rubato l’infanzia, ero un’appestata, nessuno giocava con me. La mattina all’alba bussavano alla porta per vedere che mio padre fosse in casa, così al tramonto, bussavano in continuazione e lo arrestavano. Ero ossessionata da quel battere continuo alla porta. Ho pianto tutte le lacrime che avevo. La casa in cui vivevo era senza luce, senza acqua, senza servizi igienici, c’era solo un bagno per tutti, eravamo 37 persone".
Con il Progetto Irene, condiviso con il marito Silvano Callaioli, scomparso nel 2022, Tacci ha lottato per tenere viva la memoria del babbo, la verità della guerra e della lotta della Resistenza per la Liberazione. E lo ha fatto anche nel film della regista sancascianese Carolina Mancini, realizzato per l’Anpi sezione XXV luglio, dove racconta quegli anni e il rapporto di amore, rispetto, stima che la legava al padre. E quel film ’A casa nostra c’era la libertà, Rosanna e Dante Tacci’ sarà proiettato domani alle 21 al Cinema Teatro Everest di San Casciano.
Andrea Settefonti