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Cronaca

La morsa dell’inverno demografico. Si fanno sempre meno bambini: "Più lavoro e sostegno alla natalità"

Gustavo De Santis, docente all’Università di Firenze, spiega le cause e gli effetti di questo trend "Poche donne in età fertile e bassa fecondità. L’insicurezza occupazionale incide, piccoli centri a rischio".

In città la media di figli è al di sotto di 1,5 per famiglia (foto archivio)

In città la media di figli è al di sotto di 1,5 per famiglia (foto archivio)

Non si tratta più solo di previsioni: il calo demografico sta già trasformando la nostra società, a Firenze e in Toscana il fenomeno è ormai strutturale. Ne parliamo con Gustavo De Santis, professore di demografia all’Università di Firenze, che ci spiega il perché.

Professore, quali sono le cause di questo trend?

"La principale è il calo delle nascite, ormai un fenomeno generalizzato nei Paesi sviluppati e in molti di quelli in via di sviluppo. Più della metà della popolazione mondiale vive in condizioni di bassa fecondità, ovvero sotto i 2 figli per donna. In Italia il calo è iniziato a metà degli anni ’70 e oggi abbiamo anche poche donne in età fertile. Il risultato è un numero molto basso di figli totali. Questo comporta un calo di circa il 40% della popolazione da una generazione all’altra. Un dato che si può calare nella realtà fiorentina".

Quali effetti ha sull’economia e sulla società?

"Dipende dalla nostra capacità di adattamento. Qualcosa, anzi molto, dovrà cambiare: lavorare più a lungo e abituarci ad avere meno scuole; un problema, questo, che colpirà soprattutto i piccoli centri, sempre più a rischio spopolamento. Dovremo anche aprire di più le porte all’immigrazione, per far entrare persone giovani e attive. L’unica alternativa sarebbe un aumento della fecondità, ma è un obiettivo difficile, costoso e i cui effetti si vedrebbero solo tra vent’anni".

Il costo della vita incide…

"Il calo demografico dovrebbe, in teoria, ridurre la pressione sulle città e, dunque, portare a un calo dei prezzi. Ma nella pratica, tra turismo, uffici e Università, questo non accade. A Firenze, le poche nascite sono in parte compensate dagli arrivi di immigrati, e dal resto d’Italia, ma non basta".

Esempi più virtuosi dei nostri?

"Nei Paesi del nord Europa o in Francia, dove i giovani ricevono reali sostegni, tra affitti agevolati, maggior presenza di asili e prestiti d’onore, i risultati sono migliori. Lì ci si attesta su 1,7 - 1,8 figli per donna. Ma anche in quei Paesi, da dieci anni a questa parte, la fecondità è in calo, nonostante una politica di sostegno alle famiglie molto più avanzata rispetto alla nostra. Il livello ottimale di fecondità per mantenere stabile la popolazione sarebbe di 2 figli per donna. Siamo lontani dall’obiettivo".

Come invertire la tendenza?

"Difficile dirlo. Ribadisco l’importanza di più investimenti nel sostegno alla natalità. Ma gli ostacoli sono molti. In primis l’insicurezza lavorativa. Come si fa a programmare una famiglia senza un orizzonte stabile? Dovremmo agire lì. Purtroppo, la flessibilità richiesta dal mondo del lavoro è difficilmente compatibile con la decisione di mettere al mondo un figlio. E questo è uno dei nodi più duri da sciogliere".

Elettra Gullè